Panizza oggi pomeriggio deve andare a scuola di suo figlio per un colloquio con i professori. Esce di casa a piedi.

Passa sotto il balcone di un’anziana signora che ha un cane che sta sempre a pascolare tra balcone e salone, tra salone e balcone. Non esce mai di casa, il cane, fa dentro tutto.

Anche oggi la signora sta parlando animatamente con il cane. Gli dice di smetterla, di non abbaiare. Glielo dice sempre, in continuazione, al cane, che non deve abbaiare, la signora.

In quella casa ogni giorno c’è una guerra, che fa da contrappunto a quella che viene dalla televisione sempre accesa. Il cane abbaia e la signora gli dichiara che gran sbaglio ha fatto a prendere lui come cane e gli chiede: “come devo fare con te?”.

La signora, sempre, ogni giorno, quando Panizza passa sotto il suo balcone, è indaffarata a tener dietro al cane. Pulisce i suoi escrementi, lo caccia via, lo rimprovera, lo maledice, lo redarguisce per avere combinato del danno in casa.

Panizza passando per strada ascolta le sue parole e non capisce se questo rapporto tra i due, la signora e il suo cane, sia una forma disperata di infelicità senza nessun tipo di soluzione o solo un modo di tenersi compagnia, anche se tormentato. E pensa che forse a un certo punto, per un gran numero di persone, arriva un momento nella vita che stare in compagnia, anzi avere compagnia sia soprattutto augurarsi che esista ogni giorno qualcuno di cui lamentarsi o da maledire. Insomma, si chiede Panizza, quello tra il cane e la signora è un rapporto voluto o solo subito, è anche un’opportunità o solo una condanna? Senza darsi nessuna risposta Panizza va avanti, procedendo con pochi tentennamenti verso la scuola di suo figlio.

Camminando si guarda le scarpe o guarda l’asfalto della strada. Ha fretta. Gli capita più spesso di guardarsi le scarpe quando ha fretta piuttosto che quando cammina con calma. Poi ci pensa su. Non gli piace questa abitudine che ha, di guardarsi le scarpe mentre cammina per strada. Meglio alzare la testa e guardare tutt’intorno le case e il cielo più in là.

Poi continuando a camminare Panizza passa per una strada stretta. Trova una macchina con le quattro ruote sul marciapiede. Deve scendere dal marciapiede e incominciare a camminare sulla strada carrabile. Passa un’auto a gran velocità, Panizza sbanda, sta per finirle sotto le ruote. Pensa: per colpa di un’automobile stavo per finire sotto un’altra automobile. Panizza odia le automobili, le considera la peggiore iattura che sia capitata all’uomo dai tempi della creazione. Detesta la figura storica di quel gran genio dell’imprenditoria che è stato Henry Ford, il primo a farne un bene di consumo accessibile a molti. Lo considera una specie di genio del male. Gli piacciono invece molto le biciclette e i monopattini elettrici. Pensa: se fossero rimaste solo dei bolidi destinati ad andare nelle piste io e le automobili potremmo anche andare daccordo. Sogna una città fatta di larghi marciapiedi tutti destinati a pedoni, biciclette e monopattini con una sola piccola corsia al centro creata per fare defluire qualche auto che non può proprio farne a meno di passare di lì.

Intanto è arrivato nella via pedonale del centro storico in cui si trova la scuola del figlio. Una larga strada tra antichi e bellissimi palazzi, fittissima di persone che camminano. Quasi tutti turisti. Non si riesce quasi ad andare avanti per quante persone ci sono ed è come se bisognasse in continuazione aspettare un turno per infilarsi tra la gente e scendere per la via. E mentre cammina, viene sfiorato da una bicicletta che va a gran velocità, poi da un motorino elettrico, poi subito dopo da un’altra bicicletta. Capisce che sono ragazzini che stanno facendo un gioco: andare a tutta velocità, in discesa, lungo la strada, facendo zig-zag per evitare i pedoni. Pensa: è una specie di sfida mortale come quelle che facevo io a dodici anni con i miei amici, ad esempio camminando per due-trecento metri su un muretto a strapiombo su una strada sottostante. Uno strapiombo, lì sotto, di almeno cinquanta metri di altezza. Pensa: non bisogna scadere nel moralismo, guai a scadere nel moralismo. Pensa: nelle sfide che facevamo a dodici anni però eravamo noi a rischiare di continuo di spezzarci l’osso del collo, non progettavamo di spezzarlo agli altri inconsapevoli passanti.

Pensa: quello che ho appena pensato è proprio un pensiero moralista? Evita di darsi una risposta ma getta delle gran urla contro i tre in bicicletta e in motorino che lo hanno appena sfiorato gridandogli contro le peggiori bestemmie imparate nei suoi anni di vita proprio a partire dall’età di dodici anni. Ecco, pensa a questo punto con sollievo Panizza, sicuramente gli insulti e le bestemmie non rientrano nella categoria dei moralismi.

[altre storie sulle giornate di Panizza si possono leggere qui: https://www.mariovalentini.net/litigare-stanca/ ]