Giovedì 10 e venerdì 11 Febbraio, a Modena, presso il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali dell’UniMoRe, si terranno due giornate di studi sul Semplice (nel ricordo, tra l’altro, di Gianni Celati). Qui sotto il programma e, subito dopo, un mio piccolo pezzo sull’esperienza del Semplice, tratto da Come un sillabario (Mesogea, 2015).

https://www.dslc.unimore.it/site/home/archivio-notizie/articolo980025460.html

“Se volessi recuperare l’immagine di quando avevo vent’anni, sarebbe facilissimo, basterebbe aprire il portafogli ed estrarre la patente. A parte la mole di capelli mossi e corvini (che non ho più), il sorriso sempre presente sulle labbra (che non ho più), gli occhiali tondi (che non ho più) mi riesce difficile credere che potessi essere preso sul serio con una faccia del genere. […] Ricordo bene ad esempio l’ottusa presunzione che avevo in quegli anni, e la tendenza a darmi alla fuga quando qualcosa andava storto.

Quando ho incominciato a frequentare le riunioni del Semplice non avevo mai scritto una riga in prosa. Facevo i miei primi tentativi di scrittura proprio allora. Capivo in quegli incontri un po’ di cose, che ancora oggi ritengo fondamentali, su che cosa voglia dire scrivere:

  1. che sebbene necessitino di una concentrazione solitaria, le faccende legate allo scrivere in prosa trovano alimento da un certo modo di stare insieme agli altri, di ritrovarsi tra amici, di scambiarsi esperienze;
  2. che alla attività della scrittura serve molto spaesarsi, dismettere i codici familiari e avventurarsi nell’aperto mondo;
  3. che tra scrivere e camminare c’è una relazione precisa, che non può non farsi largo ed essere percepita sulla pagina;
  4. che la lingua scritta deve essere il più possibile come agitata da un vento che la scuota un po’ dal torpore, dalla fissità che è propria della pagina tipografica;
  5. che è sempre opportuno andarsene in giro con un taccuino in cui scrivere quello che ti passa per la testa o che incontri per strada, esattamente come uno che ha la mania della fotografia, gira e rigira, ha sempre la macchina fotografica appesa al collo;
  6. che le cose migliori saltano fuori quando lasci da parte tutte le intenzioni e sai abbandonarti a ciò che accade;
  7. che, appunto perché scrivendo ci si abbandona un po’ all’aperto, agli accidenti casuali, niente si può pianificare fino in fondo;
  8. che la naturalezza e la semplicità sono il più difficile punto d’arrivo da raggiungere.

E una gran quantità di altre cose che sarebbe impossibile riassumere in poche righe”.

(Come un sillabario, Mesogea, 2015)

Come un sillabario (Mesogea)