[i precedenti appunti dedicati all’arte e alla corsa si possono leggere qui: https://www.mariovalentini.net/larte-e-la-corsa/ ]

L’effetto Dunning-Kruger

Si chiama effetto Dunning-Kruger, dal nome dei due psicologi che l’hanno studiato: è una distorsione cognitiva per la quale persone scarsamente competenti in una materia tendono a sopravvalutare nettamente la propria esperienza in quel campo. Di contro, invece, chi ha reale e profonda competenza tenderebbe a sminuirsi. Non so quanto sia ancora ritenuto valido lo studio di questi due psicologi, che risale al 1999, non ne ho competenza. Credo di avere capito che nel tempo la sua validità sia stata in parte ridimensionata.

Però dalla mia posizione di perfetto incompetente, affermo con certezza cognitivamente distorta che questo fenomeno è, per certi versi, la malattia del secolo nuovo. Abita gran parte dei social network e, ad esempio, se vai a leggere un buon numero di post di facebook, ne sono affette almeno quattro persone su cinque.

Per quel che mi riguarda, facendo una rigorosa autoanalisi, il massimo livello di effetto Dunning-Kruger a cui riesco ad arrivare, più che sui social network lo raggiungo ogni volta che torno da correre. Però per fortuna poi passa e si ridimensiona. Almeno in parte. Quando si attenua l’effetto euforizzante delle endorfine, infatti, torno quasi sempre a valutazioni più realistiche.

Ma ogni volta che torno da correre mi aggiro per casa, straparlo con chi mi capita sotto tiro e inizio a elogiare in maniera smodata il mio eccezionale stato di forma, l’eccezionalità del tempo cronometrato in pista (che poi non è una pista ma una semplice villa comunale) e le doti atletiche espresse fino ad appena dieci minuti prima sul campo d’allenamento.

Effetto Dunning-Kruger allo stato puro: evidente e del tutto irrealistica incomprensione dei miei limiti. Poi, appunto, passa presto, per fortuna.

Murakami Haruki e le endorfine

Non ricordo, francamente, se e quanto Murakami Haruki parli dell’effetto euforizzante delle endorfine nel suo libro capitale sulla corsa, dal titolo puro e cristallino L’arte di correre. Però, certo, siccome sotto sotto un po’ si autocelebra e forse anche si sopravvaluta, nasce il sospetto che anche Murakami Haruki in quel libro un po’ cada nella trappola dell’effetto Dunning-Kruger. Chissà se è davvero tanto esperto di corsa quanto dichiara.

Ma almeno per una volta voglio parlare di corsa (e arte) senza per forza parlare male di Murakami Haruki. Andiamo oltre, dunque, e liquidiamo il paragrafo sul nascere.

Turismo (culturale) di corsa

Per me, che a mente fredda devo ammettere di non conoscere l’arte di correre, l’arte e la corsa si incontrano in questo: che mentre corro osservo, scovo, scopro o anche solo rivedo opere d’arte che mi piacciono.

Più che un libro sull’arte di correre a me piacerebbe scrivere un libro sulle numerose, virtuose occasioni che offre la corsa nel godimento dei beni archiettonici, monumentali e artistici di una città. Quasi una guida turistica, insomma, forse un po’ sbrigativa, visto che tutto quello che c’è da vedere, secondo la guida andrebbe visto di corsa. Un turismo culturale in scarpette da running, pantaloncini corti e maglietta sudata.

Porta Felice e Loggiato San Bartolomeo, a Palermo, visitati di corsa

Ne avrei già pronti alcuni capitoli, e non tutti riguardanti la città di Palermo, in cui abito. Ho anche qualche capitoletto già bello e pronto su Bologna e su Verona, città in cui sono andato a fare il turista di corsa appena un anno fa, poco prima che iniziasse la pandemia.

Se qualche editore fosse interessato, si faccia vivo lui, ché io ora non ho tempo: sto andando a correre. Però se gli interessa facciamo una cosina fatta per bene, con tutte le fotografie al posto giusto, schede, tempi di percorrenza. Possiamo metterci perfino delle indicazioni sul fondo stradale e sulla difficoltà del porcorso. Dividiamo tutti i percorsi in quattro fasce: facile, intermedio, difficile, professionisti. Una cosina proprio fatta a modo, insomma. Elegante. Pulita pulita.

Rinvenimento di un polpo tra i palazzi

La Cala, Palermo

L’altro giorno, per esempio, ero partito come al solito da casa mia ed ero arrivato alla Cala di Palermo, luogo in cui mi aggiro ogni domenica per correre in lungo e in largo a ridosso del mare e nei pressi del porto. Dopo essere andato un po’ in direzione Messina, invece di fare più volte avanti e indietro tra i due porticcioli della Cala e di Sant’Erasmo, come faccio di solito, a un certo punto ho cominciato a correre decisamente lato Trapani, cosa che non faccio mai per via delle troppe macchine.

Dopo avere costeggiato per un po’ il porto sono andato oltre, ho lambito per qualche centinaio di metri il carcere dell’Ucciardone e, arrivato in cima a un cavalcavia, ho girato a destra, verso i cantieri navali.

Per un momento, non consideriamo la tristezza del posto (e della sua funzione). In quanto edificio storico costruito ai primi dell’Ottocento anche l’Ucciardone potrebbe essere considerato un monumento e dunque si potrebbe anche guardare come opera architettonica. Ma quel giorno volevo piuttosto andare a vedere, brevemente, dall’esterno, senza nemmeno smettere per un minuto di correre, l’Arsenale della Real Marina.

Non ci andavo da molto tempo e siccome è un edificio che mi è sempre piaciuto moltissimo e ultimamente siamo stati sempre reclusi a casa, volevo tornare a godermi almeno per poco quell’edificio del Seicento e il piazzale antistante.

Fatta una visitina velocissima all’Arsenale, ho poi ripreso la strada del ritorno. Sono arrivato in cima al cavalcavia: l’Ucciardone davanti, i Cantieri Navali e l’Arsenale alle spalle. Ho girato a sinistra e giù! in picchiata dal cavalcavia, lungo il perimetro del porto!

Tornando così verso la Cala, sempre correndo, a un certo punto ho visto un polpo. Un polpo gigante, che forse era dunque una piovra, non so. Non sono molto esperto di pesci, crostacei e cefalopodi. Il polpo era quello che ora faccio vedere nella foto. Si intravedeva tra i fianchi di due palazzi, all’imbocco di una strada che se la percorri ti porta proprio nel cuore di un quartiere che si chiama Borgo Vecchio.

Murale di Ema Jons in via dello Speziale (Borgo Vecchio, Palermo), realizzato nel 2014

La street art e la corsa

La cosiddetta street art mi piace molto. Ma non sono affatto convinto delle capacità taumaturgiche che molti le attribuiscono, ovvero della capacità di guarire (o rigenerare) quartieri degradati con il suo solo apparire. Però, certo, è anche vero che se non avessi visto il polpo sulla facciata dell’edificio mai e poi mai avrei attraversato la strada per guardarlo meglio. E se non avessi attraversato la strada per guardarlo bene, non mi sarei inoltrato in quel pezzettino di vicolo da cui inizia Borgo Vecchio. E non mi sarei mai potuto accorgere di quegli altri tre o quattro grandi murales che si trovano lì dietro, in un parcheggio, che poi ho scoperto essere il parcheggio dell’Hotel Ibis.

Murale di Mr. Thoms e ZED 1 nel parcheggio dell’Hotel Ibis (Borgo Vecchio, Palermo) – realizzato nel 2015

Così mi sono introdotto abbastanza stupito nel parcheggio. Ammirando quei grandi murales della cui esistenza, prima, nulla sapevo, ho pensato: “ecco le virtù del turismo di corsa. Perfino nella tua città, che pensi di conoscere benissimo, se ti dedichi al turismo di corsa scovi delle cose che hai sempre ignorato”.

Murale di Rosk nel parcheggio dell’Hotel Ibis (Borgo Vecchio, Palermo) , realizzato nel 2015

Poi, certo, tornato a casa, mi sono documentato. Possiedo un libro sulla Street Art in Sicilia, fatto proprio bene: lì ho trovato tutte le notizie che mi occorrevano.

Il quartiere Borgo Vecchio – riferiscono gli autori Mauro Filippi, Marco Mondino e Luisa Tuttolomondo – a partire dal 2012 ha visto la realizzazione di almeno tre laboratori nel corso dei quali alcuni artisti hanno lavorato con bambini da 5 a 15 anni per realizzare dei murales in tutto il quartiere. Il primo, dal titolo Frequenza200 e organizzato dalle associazioni Per Esempio e Arteca, è stato portato avanti proprio nel 2012 da Ema Jons (http://emajons.blogspot.com/)

Un secondo laboratorio è stato organizzato con la collaborazione dell’associazione PUSH, ed ha dato vita al progetto Borgo Vecchio Factory. Così lo descrivono gli autori:

nel novembre 2014 viene avviato un nuovo ciclo di laboratori che partendo da una fase preparatoria di disegno, sviluppata all’interno del centro sociale del quartiere, portano poi alla realizzazione dei murali esterni. La maggior parte di questi segue e riproduce forme e idee venute fuori durante la parte iniziale del workshop e viene realizzata insieme dai bambini e dall’artista, altri invece direttamente dall’artista, che pur rivisitando i soggetti si mantiene però fedele in forme e colori ai bozzetti iniziali.

Street art in Sicilia. Guida ai luoghi e alle opere, Dario Flaccovio editore
Mauro Filippi-Marco Mondino – Luisa Tuttolomondo, Street Art in Sicilia. Guida ai luoghi e alle opere, Dario Flaccovio Editore

I murales realizzati nel parcheggio nascono invece per committenza privata dello stesso Hotel Ibis, che nel luglio 2013 chiama gli artisti Corn79 (http://www.corn79.com/), Mrfijodor (http://www.mrfijodor.it/), Hunto, DMS, Mr. Thoms (http://www.thoms.it/), Zed1 (http://www.streetness.it/artisti/zed1/) e Rosk (http://www.streetness.it/artisti/roskloste) con l’incarico di ridisegnare i muri che danno sul parcheggio. La committenza dà agli artisti un tema comune su cui lavorare: la società civile siciliana. Una di queste opere, facendo chiaro riferimento alla mafia e alla sua capacità di estendere i tentacoli sulla città, riproduce anch’essa una piovra. Si tratta di una specie di piovra tecnologica: un robot-piovra che tra le altre cose abbranca una barca carica di migranti. Altre due invece sono ispirate a Giuseppe Fava, e in calce riportano una sua frase:

A che serve vivere, se non c’è il coraggio di lottare?

Giuseppe Fava
Dettaglio del murale di Mrfijodor e Corn79 dedicato a Pippo Fava nel parcheggio dell’Hotel Ibis, Palermo

E così, dopo avere letto questa frase, me ne vado verso casa, baldanzoso per com’ero arrivato. Con, nel bagaglio, oltre a un corpus di cinque-sei opere d’arte che prima non conoscevo, anche un insegnamento di Pippo Fava. Arte utile e dilettevole, insomma, che sappia piacere e insegnare. E tutto questo grazie alla corsa. 14 km di fatica e sudore spesi bene.