Secondo Bernd Heinrich fa bene ai corridori umani osservare come corrono gli altri animali. C’è molto da imparare. Anche dagli scarafaggi. Lui, che è stato un campione di corsa su lunghissime distanze, è anche un naturalista tra i maggiori esperti di animali al mondo. Molti segreti per correre, dice, li ha imparati dagli animali.

Nel cap. XII del suo libro fondamentale sulla corsa dal titolo Correre. Una storia naturale (Piano B edizioni, 2022) Heinrich ci insegna che ci sono scarafaggi veloci e scarafaggi lenti.

Blatta fischiante del Madagascar

Lo scarafaggio sibilante del Madagascar per esempio è lentissimo. Non ha bisogno di scappare perché è molto ben corazzato e ha difese formidabili. Si sente indistruttibile e per questo se la prende comoda.

Lo scarafaggio americano è invece velocissimo. Raggiunge velocità equilvalenti a cinquanta volte la sua dimensione corporea al secondo. Che, facendo le dovute proporzioni, sarebbe quattro volte più veloce di un ghepardo, l’animale terrestre più veloce del mondo in termini di velocità assoluta. Com’è che fa? Corre solo su due zampe, come i bipedi, alzando tutte le altre zampe con l’aiuto delle ali.

Dice Heinrich che in America ogni anno fanno una gara di velocità tra scarafaggi che si chiama All-American Trot. Ogni scarafaggio ha un soprannome. Uno, che Hienrich riporta, è Sewer Sam, che tradotto in italiano sarebbe “Sam la Fogna”; un altro è Plain Disgusting, che forse in italiano si può tradurre con l’espressione “Davvero Disgustoso”. Prima di correre vengono contrassegnati con colori brillanti, così gli spettatori li possono riconoscere. Gli scarafaggi vengono tenuti al buio fino al momento della partenza. Allo start si illumina il campo di gara, allora gli scarafaggi scappano via velocissimi. Corrono alla ricerca di un nascondiglio buio, convinti che in questo modo metteranno in salvo la vita. Fanno così da sempre, dice Hienrich, più o meno da 500 milioni di anni.

Dunque questi scarafaggi per correre molto veloci diventano bipedi. Dice Heinrich che probabilmente all’origine della sua storia evolutiva anche l’uomo è diventato bipede proprio per correre più veloce e che anticamente tra i dinosauri probabilmente i più veloci erano quelli bipedi: il Gallimimus, il Compsognathus e il Velociraptor, e che oggi tra i più veloci discendenti bipedi dei disonauri c’è lo struzzo, che è capace di correre ad almeno settanta km orari su lunghe distanze.

Fondamentale nella corsa, per l’uomo, è il tendine di Achille, che si allunga quando il piede tocca terra. Poi il piede si inarca, si solleva sulle dita e allora il tendine di Achille, che è elastico, si contrae rilasciando tutta l’energia che ha appena immagazzinato atterrando.

Purtroppo l’elasticità di questo tendine, importantissimo per mettere a buon frutto il rimbalzo del piede nella corsa, diminuisce molto con l’età. Ecco perché il commesso del negozio in cui vado a comprare le scarpe da running mi dice sempre di stare attento, se ho male alla schiena, alle articolazioni e soprattutto al tendine di Achille. Mi dice sempre di smettere di correre, perché rischio di rovinarmi la salute. Comunque le scarpe, lo dice anche Heinrich, aiutano a effettuare bene il rimbalzo.

Dice Hienrich a pag. 171: “La massima velocità si raggiunge su piste che affondano di 5-8 millimetri (corrispondente più o meno all’elasticità dell’arco del piede). Le scarpe da corsa hanno più o meno lo stesso effetto, a condizione che siano compatibili con la superficie e che lo shock del passo non venga semplicemente assorbito e l’energia dissipata. Usare scarpe con buon rimbalzo in una pista altrettanto elastica non fa recuperare energia; al contrario, l’energia si annulla”.

E questo è solo per dire che il libro di Bernd Heinrich oltre che interessante è anche utile ai corridori, per esempio se devono comprare un paio di scarpe. Io finora le scarpe da running le avevo comprate, con attenzione certo, ma più per sentito dire che per vera convinzione. Per emulazione del mondo, per me distante, dei corridori di lunga data, si potrebbe dire. Non ci pensavo proprio al tendine di Achille, al rimbalzo. Certo l’avrei potuto anche capire da me, ma che ne sapevo che la maggior parte della spinta del piede, nell’atto di correre, viene quasi tutta da un solo dito: l’alluce. Questo Heinrich lo spiega bene. E ti dice anche che se per necessità di fuga repentina centinaia di migliaia di anni fa avessimo dovuto imparare a correre velocissimi avremmo dovuto sviluppare un piede con un unico dito molto solido e lungo, come i cavalli.

Quante cose insegna Heinrich su quella meravigliosa attività umana che è lo sport! Insegna per esempio che le scimmie hanno mantenuto le dita dei piedi prensili per essere più efficaci nell’arrampicata. Noi invece siamo scesi dagli alberi e ci siamo messi in testa questo fatto che bisognava assolutamente imparare a correre. Ed è così che la corsa, grazie all’elasticità del tendine di Achille, all’arco plantare e all’eccezionale spinta propulsiva del dito alluce, è diventata una prerogativa pienamente umana (nella quale invece le scimmie sono un po’ scarse). Sono più forti nell’arrampicata libera, le scimmie.

Ed è così che mi vien da pensare (questo infatti Heinrich non lo dice) che non a caso l’arrampicata libera è rientrata tra gli sport di massa molto più tardi della corsa e che è diventata disciplina olimpica solo a Tokyo 2020. La corsa invece no. Lo è stata da subito, sin dagli albori della prima olimpiade dell’evo moderno (Atene 1896). Ma lo era già nell’antica Grecia.

Nulla avviene a caso, dunque, nella storia dell’evoluzione come nella storia dello sport. Tutto nasce in tempi antichissimi e rimane nella nostra struttura corporea come traccia di una memoria ancestrale. Insomma nasce quando, abbandonati gli alberi, abbiamo iniziato a dedicarci allegramente, correndo a piedi, lance in mano, alla caccia al bisonte. Ed è per questo che ora io corro. Come Forrest Gump. Non faccio altro che andare a correre. Come ai tempi dei tempi, degli avi degli avi degli avi, in un continuo ritorno alle origini.

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