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Quattro giovani malviventi fuggono in Emilia

Breve giro di prestazioni di Quattro giovani malviventi in fuga (Exòrma, 2024) in Emilia Romagna. Queste le date e i dettagli:

  • Bolognagiovedì 3 aprile alle ore 18,30 sarò alla Confraternita dell’uva di via Belmeloro 1/E per parlare del libro insieme con Ugo Cornia
  • Parma -venerdì 4 aprile ore 21 – appuntamento on-line con la Libreria Diari di bordo per “Scrittori a domicilio”
  • Parma sabato 5 aprile dalle 10 alle 18 sarò alla Libreria Diari di bordo di Borgo Santa Brigida 9 per fare il “Libraio per un giorno”.

Per saperne di più del libro puoi andare qui https://www.mariovalentini.net/quattro-giovani-malviventi-in-fuga/ o qui https://www.exormaedizioni.com/catalogo/quattro-giovani-malviventi-in-fuga/

Petraio di Silvio Perrella nei miei appunti

(cover: da Radure di Antonio Biasucci)

Pubblico qui, dritti dritti dai miei taccuini cartacei, gli appunti presi su PETRAIO di Silvio Perrella (La Nave di Teseo, 2021) in occasione della presentazione di UNA MARINA DI LIBRI (Palermo, Giovedì 9 Giugno 2022)

Un momento della presentazione di Petraio a Una marina di libri di Palermo

Come iniziare a parlarne

Paragone tra Doppio scatto (libro pubblicato da Silvio nel 2015 per Bompiani) e Petraio, evidenziandone lo scarto, ma mettendo anche in evidenza come l’uno nasca dall’altro e forse lo prosegue.

Si può leggere prima il pezzettino intitolato “Doppio scatto”, da Petraio [pagg. 15-16]

Doppio scatto

Nell’andare per le strade si cercano cornici, scorci rivelatori, dettagli che parlino.

Le cose nel loro aperto, squadernate nell’aria che passa come vento, fuggono. A volte le hai dinanzi agli occhi e non le vedi. Diventano invisibili.

È stato detto: per vedere bisogna avere visioni.

E non ci sono dubbi: la visibilità del mondo si acuisce se lo si incornicia. […]

Dietro ogni pietra ci sono un respiro, un’abitudine, un letto, una moltitudine di oggetti e lampade e lampadari e abat-jour.

Un dondolio di relazioni.

È bastato indietreggiare nello spazio del cortile, e da lì fermarsi improvvisamente a guardare.

La cornice si è fatta avanti con naturalezza. Gli occhi l’hanno cercata, trovata a istinto, e usata.

Nel silenzio del cortile si sono avvertiti due scatti: lo scatto della mente e quello di una scalcagnata e avventizia macchinetta fotografica.

Silvio Perrella, Petraio, La nave di Teseo, 2011 [pagG. 15-16]

e poi il brano sul Petraio presente in Doppio scatto [pag. 13], anche per chiarire che il Petraio è una delle scalinate di Napoli che collegano la città alta dalla città bassa:

Il Petraio, che bel nome. Fa pensare alle Rime Petrose di Dante. Ogni scalino è come un verso, un invito al saliscendi. E anche alle digressioni.

È vero, in genere si va dal Vomero al Corso, la Discesa del Petraio la si usa per congiungere in modo rapido due zone diverse della Città. Lo si fa quando si vuol fare a meno della Funicolare. E a scendere il passo è lieve […].

Costeggio i muri tufacei, impreco contro chi tenta d’incarcerarli nel cemento, passo le dita lungo i corrimani, saluto qualche raro passante (spesso si tratta di turisti stranieri con il fiatone), e scopro che ci sono altre scale oltre a quelle principali.

Prima dello slargo, dove incontrerò Tonino, c’è una possibile deviazione. Il ritmo suggerito dai gradoni è diverso […].

La ringhiera delimita con nettezza lo spazio, imprimendo, verso i tre quarti, una piccola curva sull’ascesa. […]

Qui è tutto fatto di pietra ma il mare non manca. Basta proseguire il cammino e guardare oltre il basso parapetto.

Silvio Perrella, Doppio scatto, Bompiani, 2015

Continuare poi così

Doppio scatto era un libro di luoghi attraversati, in cui l’esterno si poteva poi ri-attraversare, a volerlo fare, tornandoci anche da soli e riuscendo a ritrovare quanto descritto e raccontato. C’era un condurre per mano il lettore attraverso la superficie della città, grazie a un’osservazione geograficamente puntuale. Questo, Petraio, a me pare piuttosto un libro di meditazioni, in cui il luogo quasi sempre presto sfuma e non sai bene dove collocarlo, diventa pretesto e occasione per indagare pieghe, interstizi, trame e strati. Fino a perdere il fuoco (fotografico) del luogo per mettere a fuoco altro: qualcosa di molto piccolo o forse di molto molto più grande del luogo stesso. Qui, in Petraio, si saltano passaggi. Al lettore si dà appuntamento in un posto ma per portarlo poi subito da tutt’altra parte.

Usare l’analogia con gli obiettivi fotografici

Se Doppio scatto è una scrittura da obiettivo 50mm o al limite da grandangolo (c’è insomma la possibilità di leggere nitidamente il luogo entro il contesto in cui si colloca), qui in Petraio è lo zoom che la fa da padrone e certe volte addirittura il cosiddetto obiettivo macro (o, all’opposto, un campo lunghissimo che conduce quasi all’indistinto). Lo zoom indaga le pieghe e i dettagli, corrugamenti e statificazioni, spesso arrivando a astrarre del tutto il dettaglio dal contesto. La città non è più roba da cartografi (come in doppio scatto) ma da geologi e speleologi.

Usare un paragone (mooolto azzardato e un po’ minchione) con la fisica?

Lo scarto tra Doppio scatto e Petraio come quello tra la fisica newtoniana e la meccanica quantistica: uno spostamento di prospettiva che dall’analisi del visibile conduce alla materia e al subatomico.

Dire la necessità di tornare più volte a rileggere sempre gli stessi pezzi

Dire che è un libro che va meditato, bisogna tornarci su un po’ di volte sui diversi pezzettini che lo compongono. Come in un’indagine geologica (un carotaggio ad esempio) vai scoprendo sempre nuovi strati che a un primo sguardo più veloce ti erano sfuggiti.

Ad esempio, questi:

  • Per come l’ha sempre raccontata Silvio, Napoli è una città verticale. La posizione privilegiata d’osservazione, questa è l’impressione che ho sempre avuto, è lungo una delle sue numerose scalinate. Ed è quasi sempre nella direzione di chi scende. Attraversare Napoli ed esplorarla è per lo più come se fosse un andar giù. Ora, in Petraio, questo andar giù si fa ulteriore. È una verticalità che riguarda anche la materia di cui è fatta la città, non solo i suoi affioramenti cartografabili. Ed ecco l’attenzione per tutto ciò che è sommerso: “le catacombe, gli ipogei, le caverne di tufo…” (come si dice ad esempio nel brano a pag. 67, La piscina circolare del passato). Qui la (fortunata, visto che a quanto dice Silvio è quasi sempre chiusa) visita al cortile dell’Annunziata viene descritta come un avvitamento verso il basso, in un moltiplicarsi di cerchi concentrici. Ed è questa una forma del tempo. Un tempo ciricolare, non perché ciclico, ma perché è come un risucchio, uno sprofondamento, un avvitamento appunto. È questa una variante, abbastanza nuova, di quel particolare modo di esplorare la città che mi sembra abbia sempre predicato Silvio: che Napoli è una città che si scopre scendendo. Da dove e perché questo scendere?
  • Fermo immagine (pag. 70-71): ancora una volta il dettaglio (dei piedi di una giovane donna che sale una scalinata), che sfoca tutto l’intorno. Osservazione dei piedi, con il tacco, la suola, ecc.
  • E, superati i movimenti di sprofondamento: ecco i movimenti ascensionali. Spesso sono solo un girare gli occhi verso l’alto, per esempio a osservare una cupola.
  • Il tema del tempo: la deturpazione del tempo sul volto della madonna e del bambino (pag. 75-76) con i loro stessi volti “intaccati dalle insidie”; o il tempo che “si avvita verso il basso” nell’esplorazione del cortile dell’Annunziata; o il tempo che è presupposto nei diversi muri spellati di cui si parla in più punti (Un soffiatore di morte, pag. 29-30); o nello sfarinarsi della pietra tufacea (in Sinfonia petrosa a pag. 61-62 ad esempio); o il tempo che insidia l’integrità di un muro, che se metti un dito tra le sconnessure di due pietre potrebbe crollare incenerendosi (Questo muro scalalo, pag. 47-48); o come nella chiesa dimenticata di Come si tiene in piedi un moribondo (pag. 25-26).
  • Sempre il tempo (stavolta in rapporto ai mezzi di locomozione) – in Nell’aldilà del finestrino (pag. 111) è il treno (“il treno fugge via; arroventa le rotaie; è freccia che buca il tempo; è ingurgitatore di destinazioni e di destini”); ne Il vangoncino della funicolare è appunto la funicolare (“Il tempo scorre lento. Lo si è raffigurato spesso come un fiume. E in un celebre proverbio l’uomo capace d’aspettare sta sulla sponda, sapendo che prima o poi passerà il cadavere del proprio nemico… nello scendere il vangoncino fende gli strati del tempo; che scorre, certo, e s’infiltra nelle percezioni di questo attimo dilatato”); in La luce agglutinante (pag. 363-364): sosta in stazione, forse nell’edicola a lato hanno Cristo si è fermato a Eboli (“E se fossimo dopo Eboli? E se ci fossimo imbrigliati in uno di quei sotterfugi per il quale il tempo sembra fermarsi ed entrare in una fase di sospensione muta?”). In questi casi i mezzi di trasporto sembrano essere quasi delle porte spazio-temporali, capaci di proiettarti verso un tempo altro, verso un luogo altro, o per eccessiva accelerazione o per un irreale rallentamento. Ecco che la percezione del mondo lì fuori ancora una volta si sfoca, svanisce, si fa porosa di altri luoghi e di altri tempi. Qusta realtà diventa un’irrealtà. O, meglio, si popola di possibili presenze fantasmatiche: qualcosa che appare ma non è detto che ci sia. Apparizioni e vanificazioni (o vaneggiamenti?).
  • Tema del collezionare – Collezionista di scale (pag. 21-22) – Nell’aldilà del finestrino (pag. 110-11): “Ci si sposta negli spazi urbani; si va da qui a lì, cercando visioni e scorci; collezionando immagini-sentimenti; rimuginando frammenti di mondo” – in Il tempo dei passi persi (pag. 117-118): “Farsi collezionisti di andature è quello che le città suggeriscono… la sua è un’andatura perplessa. Piede sinistro in avanti, il destro in attesa del suo turno; il bastone obliquo”
  • Segni, alfabeti, grammatica, sintassi. Spesso sono segni di una lingua segreta, tutta da smorfiare, da tradurre, da interpretare come si interpretano i geroglifici. Come in Nel retromondo del muro (pag. 115): “Qui gli alfabeti fanno a gara. La città è nominata nelle sue torsioni. È funicolare singhiozzante. Tango glaciale… Le lettere sono vergate sul legno dipinto di verde, stella cometa e freccia… Sintassi a strappo, parole striate di sangue”. E poi, in Atmosfera dell’attesa (pag. 123-124): il treno verso i Campi flegrei, che lambisce le tombe dei poeti Virgilio e Leopardi, conduce a una “atmosfera dell’attesa, precipizio delle piante, strada ferrata, bàsoli, andirivieni: si guarda e mentre si guarda si forma un alfabeto per dare forma alle forme”. E infine il disegno dello scorfano che mangia parole di Vincenzo Gemito in L’alfabeto messo a sgocciolare (pag. 373-374).
  • Tema finale dell’estate e della fine dell’estate. Bellissimi gli ultimi tre pezzi: le due sedie a sdraio vuote e Rolling stones sopprattutto.

DIALOGHI CONTINUI

(alcuni costituiscono proprio il titolo stesso del pezzettino) – sono come un alfabeto per leggere gli spazi attraversati (ognuno ha il proprio alfabeto personale con cui intesse le sue scritture):

  • CELATI – Cinema all’aperto (pag. 81)
  • MONTALE + DE CHIRICO: Il teorema dellle ombre (pag. 80)
  • GIORGIO MORANDI: Come un quadro di Giorgio Morandi (pag. 45)- “oggi ogni elemento è un alfabeto” – “sì, ogni elemento è un alfabeto; non solo Abc, ma colore, oggetto, pietra, scansione, ritmo, volumetria” – “prosodia dello sguardo”.
  • THOMAS JONES (1742-1803) + EDWARD HOPPER – Come un muro di Thomas Jones (pag. 43) – breve storia di Thomas Jones, gallese giunto a Napoli: chi era, la sua sosta a Napoli, l’amicizia con Lusieri (uno dei maggiori vedutisti dell’epoca), la sua ricerca di muri (davvero belli i dipinti che ho trovato on-line), la donna amata – “Un Hopper in anticipo”
  • JOSEPH CORNELL (1903-1972) – Come le scatole di Joseph Cornell (pag. 41): “Tritume di muro. Nello stesso spazio affiora un arco. E sotto brilla il tufo. E i colori sono quasi circensi” – “cosa avranno da dire queste pietre sbilenche che stazionano in anfratti?” – “alfabeto smembrato e fatto a pezzi dall’usura; sempre riappare e balugina e dice se stesso come in un balbettio lontano”.
  • FABRIZIA RAMONDINO, Althénopis, in Cielo e squarcio (pag. 105)
  • Ecc. ecc.

Un altro post sullo stesso argomento si trova qui: https://www.mariovalentini.net/a-una-marina-di-libri-con-silvio-perrella-e-ugo-cornia/

Vangeli nuovissimi a Una marina di libri

Per informazioni sull’accesso alla manifestazione Una marina di libri – Festival del libro, sull’acquisto dei biglietti e sulle norme anti-covid basta andare qui: https://unamarinadilibri.it/informazioni-e-biglietti/

Il programma completo della manifestazione si può consultare qui: https://unamarinadilibri.it/wp-content/uploads/2021/09/programmaunamarinaEXE2021_web_compressed.pdf

Per saperne di più sui Vangeli nuovissimi:

https://www.quodlibet.it/libro/9788822906915

https://www.mariovalentini.net/vangeli-nuovissimi-quodlibet/