Avventure nel West

Nel libro Roughing It, ritradotto qualche anno fa da Mattioli 1885 con il titolo La mia avventura nel West, Mark Twain racconta il suo viaggio a Ovest fatto al seguito del fratello Orion, che era stato nominato segretario del Territorio del Nevada. Il viaggio comincia nel 1861, quando Mark Twain aveva appena ventisei anni. E ne dura sei, di anni. In Nevada era da poco scoppiata “la febbre dell’argento”, una gran massa di gente si scapicollava lì a cercar fortuna.

Gli ammiratori di Mark Twain, del cui gruppo faccio parte da tempo, troveranno pagine e pagine di quanto più gli piace dell’autore americano. Mark Twain che racconta la sua personale corsa al West, un suo fan non se lo può perdere. Il lettore vi troverà anche le cadute, i giri a vuoto, le pagine superflue tipiche della prosa fluviale di Mark Twain al di fuori dei suoi capolavori. Ma anche una gran quantità di pagine degne di una totale ammirazione.

Quando l’ho letto, qualche tempo fa, ho trascritto su un mio taccuino alcune di queste pagine. In quei giorni, tra le altre cose, mi chiedevo come in narrativa si possano raccontare in modo efficace e interessante le piante. La mia avventura nel West è un libro-miniera. Confusi tra mille filoni primari e secondari, spesso ci si imbatte in venature d’oro che possono facilmente prendere la forma di vere e proprie pepite. Il West di Mark Twain è un territorio per uomini discretamente o del tutto scervellati. Non c’è una cosa che vada per il verso giusto, che segua una logica rigorosa e sensata. Si improvvisano imprese che, per lo più, vanno a finire in malora. E quando riescono è quasi sempre per un’imprevista e del tutto immeritata botta di culo.

Essendo un libro-miniera, tra i filoni secondari del libro rintracciavo anche un esempio interessante di racconto botanico, in cui Mark Twain riusciva a unire alla descrizione precisa di una pianta, con i molti dettagli sulle sue caratteristiche e sui suoi usi, l’inimitabile ironia che gli è propria, la capacità trascinante di irretire il lettore attraverso aneddoti, amenità, spostamenti di fuoco e scivolamenti di piano.

Si potrebbe fare il catalogo delle molte cose, più o meno istruttive, conosciute da Mark Twain nel corso della sua avventura nel West e raccontate nel libro. Cose che hanno a che fare con uomini, bestie e piante. Dai mormoni ai cowboy, dal coyote al “coniglio orecchie d’asino”, dagli indiani ai cercatori d’argento ai giornalisti. E poi quello strepitoso e lungo viaggio in diligenza con cui ha inizio il libro. Prima o poi si potrebbe anche parlare del Mark Twain zoologo o antropologo, insomma. Ma per ora è meglio fermarsi al botanico. Un passo alla volta.

Artemisia stellata

Quella che nella traduzione di Livio Crescenzi viene chiamata artemisia stellata è la pianta conosciuta con il nome di Artemisia tridentata. Il nome è dovuto alle sue foglie, che terminano per lo più con tre lobi. Negli Stati Uniti viene chiamata sagebrush ed è talmente rappresentativa del paesaggio del Nevada, in gran parte arido e semidesertico, da esserne diventata il simbolo. Due suoi rametti fioriti si intrecciano nella bandiera dello Stato.

“I do not remember where we first came across sage-brush, but as I have been speaking of it I may as well describe it”, dice Mark Twain quando comincia a parlare dell’artemisia. Livio Crescenzi traduce così questo brano:

“Non ricordo, ora, dov’è che per la prima volta ci imbattemmo nell’artemisia stellata, ma visto che ne ho già parlato è il caso che la descriva. Ebbene, è presto detto, perché se il lettore è in grado di immaginare una quercia nodosa e antica ridotta però alle dimensioni di un piccolo arbusto alto due piedi, con la corteccia ruvida, la chioma e i rami contorti, insomma una quercia nana con annessi e connessi, ecco che si è raffigurato esattamente un cespuglio di artemisia stellata. Quando mi capitava di oziare di pomeriggio sulle montagne, spesso mi sdraiavo a terra con la faccia sotto il cespuglio d’artemisia, e stavo lì a fantasticare sul fatto che i moscerini fossero uccellini lillipuziani, e che le formiche che marciavano e contromarciavano ai suoi piedi fossero mandrie e greggi minuscole, e io un gigantesco perdigiorno di Brobdignag, in attesa di catturare un microscopico abitante della città per divorarselo”.

Mark Twain, La mia avventura nel West, trad. di Livio Crescenzi, Mattioli 1885 [pag. 29]

Passando velocemente dal piano immaginativo, con quel raffiguarsi come un gigante che gode dell’ombra minuscola di una quarcia lillipuziana, al piano più schiettamente informativo Mark Twain arriva a fare una descrizione puntuale e dettagliata della pianta, con stile agile e preciso, evitando accuratamente il rischio di risultare pedante:

Ha un fogliame verde grigiastro, la sfumatura di colore che conferisce al deserto e alle montagne. Profuma come la nostra salvia domestica […]. L’artemisia stellata è una pianta singolarmente resistente tanto che cresce in mezzo alla sabbia più profonda e tra le rocce brulle, dove nient’altro nel regno vegetale tenterebbe d’attecchire, tranne “l’erba della pampa”. Gli arbusti d’artemisia crescono da 3 a 6 o 7 piedi di distanza l’uno dall’altro su tutte le montagne e i deserti del Far West, fino ai confini della California. Per centinaia di miglia nei deserti non c’è un solo albero d’alcun genere manco a pagarlo oro, tranne i cespugli d’artemisia […]

Mark Twain, La mia avventura nel West, trad. di Livio Crescenzi, Mattioli 1885 [pag. 30]

L’artemisia, quando attraversi un deserto, dice Mark Twain, ti permette di cucinare. Fai un falò, metti su una zuppa e ti sfami. Senza Artemisia sarebbe impossibile. Si fa così:

Quando ci si accampa nel deserto, la prima cosa da fare è tagliare i cespugli d’artemisia, e nel giro di pochi minuti ecco lì una bella catasta pronta per l’uso. Poi occorre scavare una buca larga un piede, profonda e lunga due piedi, si fa a pezzi l’artemisia che viene messa a bruciare nella buca scavata nel terreno finché non si riempie di braci fino all’orlo. Quindi s’inizia a cucinare senza un filo di fumo, e di conseguenza niente parolacce o bestemmie. Un fuoco del genere si manterrà vivo tutta la notte senza bisogno di star lì sempre ad alimentarlo di continuo, ed è un falò che invita alla socievolezza, per cui quando si sta seduti lì attorno anche i ricordi più bizzarri e improbabili sembrano verosimili, istruttivi e divertentissimi.

Dunque, l’artemisia è un combustibile fenomenale, ma come verdura, diciamolo, è un disastro. Solo l’asino e il suo figliolo illegittimo sembrano apprezzarne il sapore, Ma quello che costoro potrebbero testimoniare quanto alle sue capacità nutritive non vale un fico secco, perché quelle bestie ingurgitano pigne, carbone d’antracite, limatura d’ottone, tubi di piombo, bottiglie rotte, insomma tutto quello che trovano a portata di mano […]

Mark Twain, La mia avventura nel West, trad. di Livio Crescenzi, Mattioli 1885 [pag. 30-31]

[Altri appunti su Mark Twain, su questo blog, li trovi qui: https://www.mariovalentini.net/come-cadere-dalla-bicicletta-senza-romperla-su-un-racconto-di-mark-twain/]