Sommaria mappatura di un muro perimetrale di un giardino pubblico animato da qualche graffito.
Effattuando uno zoom con lo smartphone occasionale mezzo disponibile allo scopo emergono muffe macchie crepe superfici porose in cui l’occhio ritrova inaspettate emersioni di quanto ammirato negli anni in certi maestri, realizzato con ben altra perizia e attrezzatura. Ma mi accontento del mio poco. E questi frutti acerbi di un approccio rozzo e sommario li salvo comunque tra i miei appunti come tracce di un viaggio negli immediati dintorni.
Per renderli un po’ familiari metto nel mezzo parole. Senza virgole con pochi punti e pochi accapo eliminando pause e toni certo non con l’ambizione di riuscire a riflettere a pensare ma almeno nel tentativo di tenere traccia di quei pochi movimenti essenziali in cui si è ristretta ormai da qualche tempo la nostra esperienza del mondo.
Giro e rigiro tra spazi di prossimità, giusto qui nei paraggi o appena più in là, non molto lontano da casa, e non potendo sorprendermi di ciò che è distante ed estraneo cerco qualcosa che ancora possa risultare inedito nel più familiare dei paesaggi.
Abbiamo passato e ripassato con cura in questi mesi i muri che ci hanno contenuto (e separato). L’isolamento ci avrà resi davvero esperti osservatori del minimo dettaglio? Abbiamo ispezionato le nostre tane, i cunicoli, le pareti domestiche cercando la breccia o l’apertura che ci potesse fare sconfinare oltre quel muro anche interiore che è stato ed è ancora la nostra naturale e esclusiva visione.
Cartografiamo così il nostro percorso che fatica anche solo a immaginare un altrove in cui (andando) perdersi e che segue un movimento circolare a sinusoide a spirale: è questo spazio – uno spazio labirinto- quanto meno per ora – il nostro unico e inevitabile camminamento?