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Perdere tempo ovvero l’immortalità secondo Patrizia Cavalli

A che servono dei taccuini se non a prendere appunti?

Da un po’ di tempo presto una certa attenzione a tutto ciò che parla del tempo che passa. Qualche mese fa avevo messo su questi taccuini dei brevi pezzi scritti dai miei studenti a partire da un racconto di Gianni Celati, che si intitola appunto Tempo che passa, pubblicato in Narratori delle pianure. Si possono leggere qui: https://www.mariovalentini.net/ricordo-di-gianni-celati-attraverso-i-racconti-dei-miei-studenti/

In quel racconto una giovane donna fa ogni sera in automobile la strada che dal lavoro la riporta a casa sua, attraversando una campagna in cui si respira una nuova solitudine quasi cittadina, con famiglie rinchiuse nelle loro villette residenziali, a difesa di un nuovo benessere, senza reciprocità, refrattarie all’esterno. E dunque guidando ogni sera l’automobile tra queste campagne ormai molto urbanizzate, quel paesaggio che attraversa, fatto di gente blindata in casa, le fa venire in mente il pensiero del tempo che passa come un continuo richiamo alla nostra mortalità.

Ogni tanto però rientrando a casa la donna si ferma in un bar che c’è lungo la strada, invaso da ragazzi che perdono tempo chiacchierando e ascoltando musica. E allora riesce a sbarazzarsi di questi pensieri sul tempo che passa. Alla fine che vuoi che sia, pensa la donna, che il tempo passi e che tutto vada dove deve andare.

Trovo in alcune poesie di Patrizia Cavalli qualche altro pensiero sul tempo che passa. Nella poesia che trascrivo qui sotto, ad esempio, sembrerebbe che il perdere tempo venga inteso, in modo abbastanza ironico, come un’ostinata forma di vita. Un mestiere, dice Patrizia Cavalli. E si sospetta che questo mestiere del perdere tempo sia molto simile all’ostinazione con cui chi scrive passa il tempo a scrivere. Il perdere ostinatamente tempo è forse un modo di sfuggire al pensiero del tempo che passa inteso come ossessione della morte. E dunque sarebbe anche una, certo strettissima, via d’accesso alla sospensione del passare del tempo, ovvero all’immortalità.

Che forse non è questo il mio mestiere?

Perdere tempo, questo è il mio mestiere,

e il bello è perdere quel che non si ha.

Ho perso tempo e certo non l’avevo

ma io perdendo prendo, anzi ricevo,

lusso supremo, la mia immortalità.

Altro non voglio infatti che essere immortale

qui in questa terra essere immortale, sospesa

in mezzo al tempo non più mio, esposta

e già finita, chiuso animale che certo

non risorge, giocando alle parole solo l’inizio.

da Patrizia Cavalli, Pigre divinità e pigra sorte, Einaudi, 2006, pag. 36

In Pigre divinità e pigra sorte c’è un’altra poesia che sembra andare in questa stessa direzione. Si parla di quella strana sospensione del tempo che è il tempo in cui si preparano le valigie prima di una partenza.

Questo tempo sabbatico

prima di una partenza, questo tempo

rubato al tempo, questo tempo non mio

né di altri, il tempo della valigia

e del ritardo, questo lusso sospeso,

questo margine ricco,

quando audace e irresponsabile posso

quello che neanche gli anni mi concedono,

dove accorrono i pensieri più negletti

e sono accolti, e tra un pigiama

e una camicia s’insedia maestoso

ma arrendevole il possibile […]

da Patrizia Cavalli, Pigre divinità e pigra sorte, Einaudi, 2006, pag. 33

Il tempo in cui ci si prepara al viaggio facendo le valigie, sembra dirci Patrizia Cavalli, è il tempo del possibile. Un tempo che sconfina oltre il tempo e lo sfida. E forse addirittura lo sconfigge. Poi invece il viaggio, quando comincia il viaggio, tutto cambia. Quello è tutto e solo tempo che passa.

Per avere qualche informazione in più sui due libri citati tra questi appunti, si può andare qui: https://www.feltrinellieditore.it/opera/narratori-delle-pianure-1-2-3/

e qui: https://www.einaudi.it/catalogo-libri/poesia-e-teatro/poesia/pigre-divinita-e-pigra-sorte-patrizia-cavalli-9788806182229/

Ricordo di Gianni Celati attraverso i racconti dei miei studenti

Il 3 gennaio 2022 ci lasciava Gianni Celati. Mi piace oggi ricordarlo attraverso alcuni pezzettini scritti dai miei studenti di seconda media. Avendo con loro discusso a lungo nel corso di quest’anno scolastico su cos’è il tempo, a novembre ho letto in classe il racconto “Tempo che passa”, tratto da Narratori delle pianure. Quindi ho lasciato da svolgere a casa un esercizio: scrivere una lettera a qualcuno mettendosi nei panni della protagonista del racconto. Qui di seguito alcune delle lettere, per come sono saltate fuori. Si possono leggere anche sul blog della classe, in questa sezione: http://unsorrisoallalettura.altervista.org/category/lettere-a/.

Chi fosse interessato, come diceva una mia anziana zia, a cose di scuola, può dare un’occhiata all’intero blog qui: http://unsorrisoallalettura.altervista.org/

Non bisogna sprecarlo di Laura P.

27 Novembre 1986

Cara Ludovica,

ti sei mai chiesta cos’è il tempo? L’altro giorno ci stavo riflettendo mentre rientravo a casa dopo una giornata di lavoro faticosa. Il mio quartiere è circondato da centri commerciali, distese di campagne e ville. Tra queste zone ci sono parecchie differenze. Ogni giorno mentre percorro la strada di ritorno per casa mi immergo in due realtà ben differenti. Nel centro commerciale c’è una gran confusione tra rumori di macchine, gente che cammina parlando e poliziotti privati che cercano di calmare il traffico, qui sembra che il tempo scorra più velocemente. Tutto cambia quando passo tra le villette, sembra che il tempo non passi mai per colpa del silenzio. Come se le persone stessero aspettando l’ora del pranzo o della cena. Più avanti ci sono delle ville più ricche, i giardini sono decorati con molti dettagli. Penso che queste persone sprechino il tempo a decorare le loro case  per nascondere la propria realtà. Non gira quasi nessuno nel mio quartiere e questo mi provoca molta tristezza. Secondo me il tempo va utilizzato per cose più importanti e non bisogna sprecarlo.

Com’è da te il quartiere? Credo che a Torino ci sia più movimento e vitalità rispetto a qui. Raccontami un po’.

Ti abbraccio forte,

Selena

Qui le lancette si spostano a fatica di Elia V.

Cara Ginevra,

spero che tu stia bene. Nella tua ultima lettera mi hai chiesto il mio parere sul tempo quotidiano. Beh, mia cara! Devo dirti che nel mio paese il tempo è come morto, immobile e tutti gli abitanti stanno rintanati nelle loro casette, compresi i miei genitori, aspettando che arrivi la fine dei loro giorni. Non so quanto tempo è passato ma, nel mio paese, non vedo più nessuno che sorride da molti mesi. Non si vede neanche un cane, tutto è fermo. Se guardi l’orologio noterai che le lancette si spostano a fatica. E le persone, per non disperare, si circondano di oggetti di plastica. Almeno, questa è la visione del mio paese, spero che a te le cose vadano un po’ meglio.

Un caro saluto,

la tua amica.

Sono davvero noiosi di Gabriele M.

21 Marzo 1980

Cara Diana,

come va la vita in America? La mia vita qui sicuramente è molto noiosa. Ogni volta che torno a casa dal lavoro con la macchina mi fermo e ascolto il tempo ed è talmente silenzioso che sembra che un minuto non passi mai. Mi capita di percorrere le vie di una piccola cittadina di nome Cicognolo, lì c’è un silenzio davvero strano, poi ci sono delle villette in cui a prima vista pensi che ci siano bambini che giocano, cani che abbaiano, ma niente, sono tutti rinchiusi nelle proprie case. Queste persone non fanno che ascoltare l’assenza dei rumori o il tempo che passa e questo fa sì che il tempo non passi mai; perciò aspettano che arrivi la colazione, il pranzo, la cena ed il momento di guardare la tv: gli unici momenti in cui non badano al silenzio o al tempo che passa. Qualche volta addirittura non me la sento di tornare a casa dai miei genitori, sono tali e quali alle persone rinchiuse in casa di cui ti ho parlato prima, di fatto proseguo fino a San Daniele Po e anche oltre. Non ce la faccio proprio a stare con loro, sono davvero noiosi, e io vorrei divertirmi, vorrei sentire un tempo che passa velocemente in cui accadono tante cose.

Spaventati da un minuto che non passa mai di Gian Pol L.

18 Aprile 1980.

Carissima Alice,

non ti scrivo da tanto tempo ma oggi sì, come stai? Io bene e come sta Peppino? Ho saputo che si è fatto male al piede e ora ascolta il tic e tac dell’orologio. Sai, in questi giorni quando vado a lavorare mi metto sempre ad ascoltare il tempo che passa. Ascolto le musichette nei piazzali e ogni tanto la voce di uno speaker che annuncia una vendita speciale, i fischietti dei poliziotti che smistano il traffico. In giro si vedono macchine, ma non si vedono cani né bambini, infatti gli abitanti vivono nascosti in quelle casette, uscendo allo scoperto come dei ladri solo per andare a lavoro o fare la spesa. Allora nello spazio riempito da quel silenzio abitativo c’è solo tempo che passa, perché il silenzio lo rende così lento che sembra non passi mai. La gente chiusa in casa non fa che pensare alla mancanza di rumori, aspettando il momento del pranzo o della cena o l’ora di guardare la televisione. Il tempo si allunga ancora di più come un elastico e gli abitanti si ritrovano là dentro spesso spaventati da un minuto che non passa mai. Questo è tutto per oggi ma ancora ci sono altre cose che succedono qui, ti scriverò in un’altra lettera che mi è finita la penna.

A presto e tanti saluti,

Cesarina

Io non mi sento al cento per cento di Greta G.

Cara Marta,

sono felice che tu ti sia trasferita a Napoli, è una bellissima città, mi auguro che tu stia bene, io non mi sento al cento per cento ma ti spiego meglio.

Da quando ho quel nuovo lavoro di cui ti ho parlato, passo spesso in mezzo a dei paesini sperduti della padana: è sempre il momento più difficile della giornata perché c’è troppo silenzio e mi metto ad ascoltare il tempo che passa.

Tutto questo silenzio è dovuto al fatto che le persone sono introverse, se parlassero il tempo scorrerebbe più velocemente come quando in piazza ho visto dei ragazzi divertirsi. Le persone stanno sempre in queste villette da sole ed impazziscono ad ascoltare il tempo che passa.

P.S: Spero di non averti annoiato con le mie parole. Stammi bene.

da parte di Greta

Non abbrutirti pure tu di Marcello F.

Cara Pinù,

ho voglia di raccontarti cosa mi è successo oggi tornando dal lavoro.

Inizio dalla fine: vedere dei ragazzi spensierati al bar di San Daniele mi ha fatto riflettere sul tempo. Ogni giorno come sai faccio la stessa strada per tornare a casa, e tutte le volte osservo le stesse cose e mi metto a pensare. Ma oggi vedendo quei ragazzi non ho più voglia di pensare e di giudicare niente.

Faccio ogni giorno 50 km, attraversando campagne desolate, vedo centri commerciali con i loro parcheggi, e vedo persone come robots, tutte uguali. Vedo villette tutte uguali e sento tanto silenzio. Le persone mi sembrano nascoste in casa e mi immagino che siano solo in attesa del pranzo, della cena o di altre cose da fare. E stanno ad aspettare. Ma pensandoci il tempo si allunga come un elastico e si ha paura che non passi mai.

Anche quando passo da Pieve San Giacomo ho la stessa sensazione e quando arrivo alla strada di casa mia, tiro dritto, non voglio entrare e vedere i miei genitori come in attesa della morte, immobili. Il vuoto intorno alle case mi sembra come una trappola. Il tempo è solo tempo, tempo senza più tempo, perché non va da nessuna parte.

Quindi ti prego non abbrutirti pure tu.