Alberto Zambelli è per me da più di vent’anni Alberto socio. Lo è per distinguerlo da altri Alberto che da molti anni popolano la mia vita. “Socio” vuol dire che, ai tempi in cui l’ho conosciuto, alla fine degli anni novanta, a Bologna, era socio di un’altra mia amica di nome Graziella e datore di lavoro di una mia ex fidanzata di nome Arianna.
Alberto Zambelli è un artigiano, restauratore soprattutto di antiche cornici e oggetti d’arte in legno. L’ho visto un mucchio di volte intagliare, lavorare di lima o di sgorbia, prendere delle sottilissime foglie d’oro e applicarle con grande precisione e pazienza sulle cornici da restaurare, soffiandoci sopra per separarle l’una dall’altra o per farle aderire ben bene alla superficie da ricoprire. In quanto grande intenditore di pezzi antichi è anche conoscitore di musei e luoghi storici della città in cui abita, Bologna appunto, e dei dintorni. Conosce tutto: palazzi o ville storiche in cui lo chiamano ogni tanto per valutazioni o restauri, e piccoli musei in cui si custodiscono opere anche di secondaria importanza e non particolarmente note. Se ti dai appuntamento con lui di mattina per prendere un caffè può capitare, come mi è effettivamente successo ad aprile, che ti chieda se lo accompagni a vedere un piccolo museo (abbastanza sconosciuto ai più) nel centro di Bologna, con pezzi d’arte del ‘500 o del ‘600, perché ci sono delle cornici che deve visionare. Sono uguali ad alcune cornici su cui sta lavorando e il cui intaglio deve riprodurre, e per questo deve andare a studiarle nei minimi dettagli. E così ci andate. Lui fotografa, analizza, paragona; tu ti aggiri per il museo e fai il turista; la vostra amica Graziella, che anche lei è una bravissima restauratrice, un po’ aiuta lui ad analizzare, un po’ aiuta te a fare il turista.
Gite fuori porta
Alberto socio è un ottimo compagno di gite fuori porta, soprattutto se allo scopo di visitare magazzini che custodiscono e rivendono robe del passato, pezzi vintage, mobili dismessi anche vecchi o vecchissimi, oggettistica di vario tipo e uso. Alla fine degli anni ’90 ne facevamo spesso di queste gite, io con Alberto socio e la ex fidanzata Arianna, e ci portavamo via di tutto un po’. Poi Arianna costruiva con quegli oggetti opere d’arte o scenografie; io mi ci arredavo la casa; Alberto socio progettava e realizzava mobili. Per due volte con i pezzi recuperati in qualche magazzino Alberto socio ha realizzato dei mobili proprio per arredare casa mia.
L’altro giorno, sabato 24, ero a Bologna per delle faccende letterarie e avevo la mattina libera. Ho detto ad Alberto che avrei voluto vedere un museo della fotografia di cui avevo molto sentito parlare e che non avevo ancora visitato. Lui, che è un grande conoscitore di musei, l’aveva già visto diverse volte. Ma c’era una mostra nuova nuova, appena inaugarata, e anche lui era interessato a vederla. Così, dopo tanti anni che non lo facevamo, abbiamo organizzato una bella gita fuori porta e siamo andati lungo la via Emilia in bicicletta fino al MAST, una sorta di museo della fotografia interamente dedicato al lavoro industriale.

Image Capital
Image Capital, la mostra in corso al MAST di Bologna fino all’8 Gennaio 2023, è un progetto dell’artista e fotografo Armin Linke e della storica della fotografia Estelle Blaschke. Non è propriamente una di quelle mostre riposanti, in cui entri e ti godi per un’ora o più delle foto che riempiono gli occhi grazie alla loro fascinazione estetica. Si tratta piuttosto di un lungo e elaborato saggio per immagini e video. Richiede applicazione e concentrazione. Indaga il ruolo centrale che la fotografia detiene in quanto tecnologia dell’informazione, spesso proprio nel cuore dei processi industriali. Come ha scritto Michele Smargiassi su Repubblica: “Image Capital è un’investigazione e uno svelamento critico dei meccanismi attraverso i quali la fotografia raccoglie, seleziona, archivia, utilizza e diffonde informazioni”. Il percorso espositivo di Armin Linke e Estelle Blaschke tratta insomma la fotografia come “capitale semantico disponibile per utilizzi diversi, strumento e fonte di potere”. Chi possiede una gran massa di informazioni fotografiche ha oggi in mano un potere sterminato. Le immagini fotografiche vengono a costituire archivi, banche dati da cui si ricavano in continuazione informazioni dettagliate che arrivano a costituire una “formidabile fabbrica di valore anche commerciale”, come avviene per quella multinazionale multimiliardaria che custodisce i rulli di celluloide, i microfilm e i materiali cartacei (anche) dell’Ufficio brevetti e degli Archivi Nazionali degli Stati Uniti in una cava di calcare esausta della Pennysilvania chiamata Iron Mountain.






Via Solferino 36
Ci sono stati degli anni che andavo quasi ogni giorno a vedere restaurare cornici e antichi pezzi d’arte nel laboratorio che Alberto socio condivideva con la mia amica Graziella e in cui era impiegata l’ex fidanzata Arianna. Lo devo ammettere, mi attirava lì dentro con tanta insistenza soprattutto il pensiero della mia fidanzata. Ma ogni volta che mettevo piede in quel laboratorio era come entrare in un piccolo mondo magico di concentrazione e silenzio. C’era la radio che andava spesso su alcune emittenti rigorosamente selezionate, chiacchiere che scivolavano lente nel bel mezzo del loro lavoro manuale, qualche bella risata per qualche storia un po’ assurda successa ad alcuni di noi o riferita da qualcun altro. Ogni tanto Graziella perdeva un po’ la pazienza per quelle continue visite e per quel continuo sostare nel laboratorio, che distraeva dal lavoro. Capivo che era meglio sloggiare, fare altri giri, rimandare a giornate più tranquille le chiacchiere.
Quel laboratorio non c’è più da molti anni. Per un certo periodo Alberto Zambelli ne ha tenuto aperto uno per i fatti suoi. Avrebbe dovuto perdere per questo motivo l’appellativo di Alberto socio, perché non era più socio di nessuno. Ma non l’ha perso, rimarrà Alberto socio per sempre. Poi, per del tempo, ha dovuto chiudere anche quel laboratorio, e si appoggiato a un’altra struttura o è andato a fare i suoi restauri in loco: direttamente negli antichi palazzi e nei musei.
Infine, da qualche anno, ne ha aperto un altro, in via Solferino 36. Sono andato a trovarlo lo scorso venerdì, di pomeriggio, più o meno all’orario di chiusura. Mi diceva che per il lavoro che fa avere una vetrina che dia sotto un portico, in cui chiunque possa vedere i pezzi, gli strumenti, il suo lavoro stesso, è una cosa a cui non vuol più rinunciare.

Quando sono entrato c’era ancora la radio che andava su un’emittente rigorosamente selezionata. Era sempre lo stesso tipo di posto magico. Anzi, lo era di più, se possibile, perché ora, in questo nuovo laboratorio di Alberto socio, ci sono vetrinette piene di libri, di cui è grande cultore e appassionato lettore; oggetti che ha recuperato e collezionato girando per fiere, magazzini e negozi di rigattieri; macchine fotografiche; strumenti musicali acquistati (clarinetti, cornette) e violini costruiti da lui; arredi, oggetti di ogni tipo e di qualsiasi uso. Su una parete, gli strumenti da lavoro: pialletti e sgorbie di ogni misura e forma. Sui banchi da lavoro altri strumenti: colla vinilica, siringhe, morse e morsetti, pialle di ogni misura, martelli e una gran quantità di altra roba il cui nome e utilizzo sconosco. E poi, sparsi dappertutto, i più svariati oggetti: delle forme da calzolaio in legno, cornici appese ai muri che incorniciano ali d’angelo o antichi piedi di mobili intagliati. Lampadari e piatti di bilance pendono dal soffitto. Un’altra antica bilancia, bellissima, è addossata a una parete, appoggiata su una mensola, incastrata tra due vetrine piene di libri. Sotto la bilancia c’è una collezione di colori in tubetto per artisti con la scritta Winsor & Newton. Davanti, su uno strano supporto in ferro, c’è appoggiato un grande schedario in legno. Su uno dei banconi c’è un oggetto in fase di restauro: una grande testa di moro in legno su cui Alberto sta applicando delle dorature.
Non è un magazzino delle cianfrusaglie, non c’è niente che sia stato accatastato alla rinfusa. In quanto laboratorio artigiano lo spazio deve essere efficiente e vivibile. A me pare piuttosto un luogo di lavoro che aspira a diventare un piccolo museo vivente del lavoro artigiano. Un museo in uno spazio un bel po’ ridotto. Un museo delle ore e dei giorni che passano pazienti. L’accumulo qui è altamente selettivo. Oltre al lavoro artigiano, e agli oggetti d’arte e del lavoro artigiano, qui si celebra e si custodisce la pazienza e la perizia. Per questo succede che entrando in quel piccolo spazio-laboratorio il tempo improvvisamente si allunga, si deforma, si posa, si dilata. Anche lo spazio, che è ridottissimo, si dilata e si allarga. Le parole e le musiche provenienti dalla radio arrivano alle orecchie più nette e riposate. Tu ci entri, ti siedi, ti posi anche tu. Indossi abiti più calmi. Se ci stai dei minuti o qualche ora, cambia poco: uscendo hai come l’impressione che hai passato lì dentro dei giorni.




Altre notizie sulla Fondazione MAST di Bologna le trovate qui: https://www.mast.org/
Notizie sul laboratorio di restauro Angelo d’oro di Albertoo Zambelli le trovate qui: https://www.informazione-aziende.it/Azienda_ANGELO-DORO-DI-ALBERTO-ZAMBELLI
Tutti i Viaggi nei paraggi raccontati in questi taccuini, invece, sono raccolti qui: https://www.mariovalentini.net/category/dentro-e-fuori-i-paraggi/