Ho di Giovanni Verga e di Luigi Capuana, per lo più, vecchie nozioni di tipo scolastico che ogni anno rinverdisco sempre un po’ svogliatamente in classe, tirando fuori un paio di brani antologici da sottoporre ai miei studenti, rispolverando i soliti argomenti triti: la poetica del verismo e l’uso del discorso indiretto libero, il rapporto tra lingua scritta e lingua parlata, il ciclo dei vinti, il pessimismo verghiano, il destino immutabile dei deboli ovvero l’ideale dell’ostrica (per la quale è impossibile abbandonare lo scoglio), ecc. Il programma me lo impone. Il volume di Letteratura me li piazza sotto gli occhi intimandomi di parlarne. E io lo faccio con una certa noia.

Che poi non è vero. Mi mette sotto gli occhi solo Verga. Lui infatti occupa saldamente il canone, non si può saltare. Capuana rimane invece laterale, è considerato una specie di fratello di minore importanza, piuttosto misconosciuto dalla scuola, probabilmente anche per certi pregiudizi critici duri a morire e che si sono incancreniti da decenni. Giudizi che si sono incrostati sulle loro opere e su cui ancora non è stato versato abbastanza viakal.

I loro due nomi, ci sto pensando ora, fanno parte della mia stessa biografia lavorativa. In una scuola intitolata a Verga infatti ho insegnato per sei ore settimanali circa sette anni fa, a Capuana è invece intitolata la scuola in cui insegno tutt’ora e in cui sono titolare ormai da molto tempo.

Al di là della scuola però non li ho frequentati molto e l’unico vero aggiornamento che ho fatto dai tempi dell’Università ha poco a che fare con la letteratura, e riguarda piuttosto la fotografia. Diversi anni fa ho infatti trovato su una bancarella un libro sull’attività fotografica di Capuana, Verga e De Roberto, edito da Edikronos e curato da Andrea Nemiz. Poi, nel 2006, ne ho comprato un altro. Ero andato a Trapani, al museo Pepoli, proprio vedere una mostra che esponeva oltre alle fotografie di Capuana e Verga, anche quelle realizzate da Samuel Butler tra il 1892 e il 1894 in Sicilia. E ho acquistato il catalogo. Poi, negli anni successivi, ho continuato a lasciare perdere Verga mentre su Capuana un po’ ho iniziato a documentarmi, scoprendo che è un autore che riserva diverse sorprese.

Tra i due dunque, ormai è chiaro, mi fa più simpatia Capuana. La critica invece osanna Verga, perché ha portato alla migliore espressione quelle idee veriste di cui lo stesso Capuana è stato il primo e migliore teorizzatore (mi par di ricordare così, dai tempi della scuola). Verga, dicono infatti molti critici, ha portato a compimento con la sua opera quelle stesse idee veriste che Capuana avrebbe voluto realizzare, senza riuscirci mai pienamente. Boh, è anche possibile, chissà!

Io di opere di Verga, tra liceo e Università, ne ho lette molte, dalle novelle di Vita dei campi a I Malavoglia a Mastro Don Gesualdo. Era obbligatorio leggere queste tre opere per arrivare al diploma, e poi anche alla laurea. E devo dire che, a leggerle, bisogna riconoscere che c’è effettivamente in quelle opere una coerenza e un’unità di intenti che le rende qualcosa di compatto e risolto, progettualmente definito e chiaro.

Capuana invece non aveva la stessa costanza, la stessa capacità di battere una strada coerente, sempre la stessa, con ostinata progettualità. Per questo mi è simpatico. Capuana si inoltrava in mille percorsi, si lasciava attrarre dagli intreressi più svariati, con entusiasmo e sempre nuova curiosità. E secondo me, se lasciamo perdere gli sviluppi storico-critici legati al verismo, Capuana è un figura molto più interessante di Verga. Ed è un personaggio capace di offrire ancora oggi qualche sorpresa. Verga no. Con lui non credo ci possano essere sorprese.

Ma, anche se non è della fotografia che volevo parlare, continuiamo a parlare di fotografia. Per Verga la fotografia è un passatempo che non ha particolare rilevanza, su cui non c’è particolare investimento personale. Capuana invece ci si intriga, ci perde ore e sonno e fatiche, ci si dedica con animo da sperimentatore, sottopone alla prova personale tutte le novità tecniche di cui viene a conoscenza.

Scrive Andrea Nemiz: “la passione sviscerata di Capuana per la fotografia – in certi periodi rischiava di sconfinare perfino nella mania – lo porta a scrivere di questa attività anche nelle lettere agli amici e, addirittura, a confidar loro formule, o a comunicare le novità riguardanti le macchine e le lastre fotografiche scoperte nei suoi viaggi a Milano o a Firenze”.

Più di una volta, per lettera, Verga lo rimprovera, gli dice che perde tempo in occupazioni diverse dalla letteratura, sprecando quella che è la sua vocazione autentica e il suo talento. Un giorno, di fronte agli entusiasmi per delle nuove tecniche da stampatore appena sperimentate che Capuana gli descrive per lettera, Verga risponde con un’ironia per nulla dissimulata: “Ho visto le tue prove all’acqua forte, e te ne faccio i miei complimenti. Ora dovresti pensare a comprarti un torchio per stampare le prove. Pazienza la spesa, ma almeno segneresti una data nella storia della nostra incisione su zinco, e se non la segnerai in quella della letteratura, pazienza ancora! non vorrà dire che non ne avevi l’ingegno, ma che hai pensato meglio di rivolgerlo a più utili e gloriose imprese”.

Nel 1880, tornato in Sicilia da Firenze, Capuana apre a Mineo (il suo paese d’origine) un atelier fotografico che chiama, con un po’ di prosopopea, “Grande Atelier Fotografico in Mineo diretto dal Prof. Luigi Capuana”, e c’è in questo nome un atteggiamento che non si sa bene come inquadrare: da innovatore e da ciarlatano? Ci rivela come l’intera figura di Capuana fosse intimamente romanzesca e letteraria.

A Mineo, nel suo laboratorio di fotografia, passa intere giornate. Qui sperimenta la stereoscopia, costruisce artigianalmente una rudimentale macchina fotografica e un ingranditore per la stampa delle lastre negative, mette a punto in camera oscura dei procedimenti attraverso i quali stampa delle strane forme in cui crede di ravvisare l’immagine di spiriti o fantasmi. Alla morte e allo spirtismo dedica numerose prove: dalle foto scattate a una giovane posseduta, a quella in cui ritrae se stesso sdraiato su un divano come se fosse morto (era uno scherzo fatto agli amici, a cui manda la foto, e pare che D’Annunzio non ci sia cascato, Verga invece sì), a quelle in cui ritrae veramente corpi morti: di uccelli e perfino di una bambina riesumata dal sepolcro per volere dei suoi genitori.

Luigi Capuana in posa di finto morto – Autoritratto – 1887
(foto dal web)

Bisogna dire che in quegli anni Capuana non è certo l’unico a far convivere un atteggiamento razionalista e positivista con interessi di occultismo e spiritismo, e a mediare tutto questo con le tecniche fotografiche. Esisteva tutto un filone di ricerche fotografiche che, oltre a dedicarsi a fotografare il visibile, si incaponiva nel tentativo di catturare l’invisibile: fantasmi, spiriti, apparizioni. O che si dedicava a inscenare trucchi, falsificazioni, messiscene giocando con le tecniche dell’ottica e dello sviluppo.

E Capuana, come ciarlatano appassionato di occultismo oltre che come sperimentatore di tecniche fotografiche, non è da meno di altri pseudo-scienziati. I suoi pericolosi fallimenti li racconta lui stesso negli scritti dedicati a questo argomento: Spiritismo? del 1884 (De Roberto gli scriverà ironizzando gli spiriti saranno irritatissmi per quel “?”) e Mondo occulto. Tra tutti gli esperimenti, il più noto è quello che riguarda Beppina Poggi, una ragazza di diciotto anni presso la cui famiglia Capuana stava in pensione a Firenze. Avendo notato in lei doti eccezionali da sonnambula Capuana comincia a sottoporla a prove talmente estenuanti da minarne la salute. Racconta infatti lui stesso: “Non sospettavo neppure che, a forza di condurre quell’organismo all’estremo limite dell’allucinazione provocata, lo mettevo a repentaglio di cadere, forse irrimediabilmente, nella vera pazzia”.

Ma questo lato cialtrone e irresponsabile nasconde una vera e originaria passione, coltivata fin da ragazzo, per il fantastico, ed è ciò che fa positivamente deragliare la produzione narrativa di Capuana dai percorsi, condivisi con Verga e De Roberto, del naturalismo e del verismo (in cui ancora oggi è a torto incasellato dalla critica più pigra) a tutta una serie di aperture e filoni narrativi che Verga non è proprio capace di sfiorare: le fiabe, la narrativa per ragazzi, i racconti del fantastico (alcuni dei quali prefigurano la fantascienza). Sono racconti che, oggi, per certi versi lo rendono forse ben più attuale di Verga.

Emile Zola fotografato da Capuana nel suo studio di via Arcione a Roma- 1894

Insomma, Capuana legge Balzac e Zola e introduce in Italia il naturalismo scrivendo sui quotidiani con cui collabora piccoli saggi e pamphlet (è stato anche giornalista, prima della Nazione di Firenze, poi del Corriere della Sera). Così conduce Verga e De Roberto sulla strada del verismo e del naturalismo (è Capuana infatti il maestro e l’anticipatore). Accosta di persona Zola, di cui diventa amico (pare che gli abbia regalato delle fotografie di donne romane utilizzate per scrivere Roma) e si dedica in prima persona a opere di impianto naturalista. Ma poi, grazie al proliferare dei suoi interessi che spaziano in molte direzioni diverse, arriva ad incorciare e affiancare in diverse prose (per lo più novelle e racconti brevi) lo Stoker di Dracula, le fantasticherie scientifiche di Jules Verne, lo Stevenson dei racconti d’avventura.

Ed è appunto di alcuni tra questi racconti che volevo parlare quando ho iniziato a scrivere. Ma mi son perso. Ne parlerò nei prossimi appunti, se riesco.

[per scrivere questi appunti ho letto e/o consultato:

  • Andrea Nemiz, Capuana, Verga, De Roberto Fotografi, Palermo, Edikronos, 1982
  • Renato Lo Schiavo, Michele Fundarò, Marco Fragonara, La scrittura dell’occhio. Utopisti e Veristi dalla penna alla lastra, Trapani, Ignazio Grimaldi Editore, 2006
  • Giuseppe Bonaviri, Introduzione a Scurpiddu, Milano, Rizzoli (BUR), 1980
  • Fabrizio Foni, Lo scrittore e/è il medium. Appunti su Capuana spiritista consultabile al seguente link: https://media.agiati.org/page/attachments/agiati-atti-a-2007-art-13-foni.pdf
  • Giovannella Desideri, “Il fantastico” in Letteratura Italiana (diretta da Asor Rosa). L’Età Contemporanea. Letteratura di massa (Torino, Einaudi, 2007)
  • Alberto Abruzzese e Carlo Grassi, “La fotografia” in Letteratura Italiana (diretta da Alberto Asor Rosa). L’Età Contemporanea. Letteratura di massa (Torino, Einaudi, 2007)]