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Non fate mai come i cammelli

Foto di copertina: Dromedary at M’Chouneche, Biskra province, in Algeria – autore: Blackmysterieux (Ghoul Kassem Mustapha) – da: commons.wikimedia.org

L’espressione «bere come un cammello» corrisponde alla pura verità scientifica di quello che un cammello fa dopo avere attraversato il deserto anche per centinaia di chilometri ed essersi fermato, per dire, in un’oasi a bere dell’acqua. Dopo essersi molto disidratati, cammelli e dromedrari, che sono come delle specie di ultrarunner del deserto, dice Bernd Heinrich, possono bere decine e decine di litri d’acqua, un centinaio perfino, senza sentirsi male. L’uomo no. All’uomo è vivamente sconsigliato.

L’uomo, per dire, anche se non è un ultrarunner che fa le corse, se corre quaranta o cinquanta chilometri di fila cacciando le antilopi nella savana o se, per esempio, nel caso abitasse in città, gli rubano il portafogli in pieno centro storico nel mese di luglio, un luglio caldo come quello di questi giorni, e deve inseguire i ladri fino in periferia correndo per venti chilometri o trenta fino ad acciuffarli, disidratandosi molto, anche se i ladri non li ha acciuffati e sono riusciti a svignarsela all’uomo non conviene bere decine di litri d’acqua come il cammello o il dromedario, perché se no ci rimane secco. Il cammello invece no, lo può fare. È abilitato a farlo. E Bernd Heinrich ci spiega il perché.

Il segreto del dromedario, dice Heinrich, consiste nella sua grande capacità di superare il rischio della disidratazione.

Intanto c’è da dire che se ti hanno rubato il portafogli e stai inseguendo i ladri per la città, non ti conviene bere alla fine, dopo che li hai acciuffati. Sarebbe molto utile avere una borraccetta da cui bere poco alla volta a piccoli sorsi frequenti mentre corri. Così fanno anche gli ultrarunner che fanno le corse di più di cento chilometri, quei pazzi.

L’uomo che sta inseguendo i ladri a luglio per tutta la città o che caccia le antilopi nella savana, se arriva a perdere più del 12 per cento del suo peso corporeo in acqua rischia di schiattare. Il dromedario invece può sopravvivere a una perdita di acqua fino al 40 per cento del proprio peso corporeo. E questo è un bel vantaggio, dovendo correre a luglio per tutta la città a caccia di ladri o anche solo se stai facendo una corsa di ultraresistenza di più di cento chilometri come fanno certi pazzi.

Comunque sia, il dromedario e l’uomo hanno anche certe somiglianze, dice Heinrich. Se bevono, l’acqua arriva allo stomaco in tutti e due i casi abbastanza lentamente, e da lì raggiunge il plasma sanguigno. Il dromedario però, se beve tanto, ha un sangue diverso. Il dromedario infatti riesce a sopportare una diluizione del sangue che altri mammiferi, come l’uomo, non sopportano. E così all’uomo, a differenza del dromedario, capita che se beve troppo e troppo in fretta i globuli rossi si gonfiano fino quasi a scoppiare e l’uomo appunto, come si è detto, ci rimane secco. Il dromedario no. Ecco perché non bisogna mai fare come i dromedari o come i cammelli.

La differenza tra un cammello e un dromedario è risaputa. Il cammello ha due gobbe, il dromedario una. Per il resto si somigliano moltissimo e potremmo anche chiamarli con lo stesso nome senza sbagliare.

A parte questa faccenda del bere, ci sono alcune cose che favoriscono il cammello in caso del furto di portafogli in pieno luglio nel centro città. E hanno tutte a che fare con il fatto di evitare intelligentemente la disidratazione. Sono tutte cose che riguardano la fisiologia e che l’uomo non può imparare. Il cammello insomma parte avvantaggiato e noi non ci possiamo fare niente.

La prima cosa, abbiamo detto, è il sangue. Sia nel dromedario che nell’uomo il plasma sanguigno, dice Heinrich, contiene circa il 16 per cento dell’acqua presente nel corpo. Ma quando si disidrata il sangue del cammello perde solo l’un per cento del suo volume. L’uomo invece ne perde tre volte di più. Quello che succede è che il sangue dell’uomo, con la disidratazione, diventa viscoso perché, il numero di globuli rossi rimane invariato. Il cuore si affatica, non è più capace di dissipare il calore portandolo in superficie, ed ecco che avviene il colpo di calore che può risultare fatale.

La seconda cosa è l’urina. Quella del cammello è diversa. Noi abbiamo un’urina abbastanza liquida, quella del cammello è più concentrata. Questo vuol dire che con meno liquido il cammello espelle più rifiuti. Piscia di meno ma con più efficienza, diciamo così.

Capisco che se stai inseguendo un ladro per la città da 25-30 chilometri non ti puoi certo permettere di fermarti sul lato della strada a far la pipì: il ladro scappa. Ma secondo me se stai inseguendo le antilopi nella savana da circa cinquanta chilometri una pisciatina sul tronco di qualche albero prima o poi ti fermi a farla e se sei un ultrarunner che sta facendo una gara di più di cento chilometri secondo me ne metti in conto almeno due o tre.

Navy Petty Officer 1st Class David Goggins crosses Death Valley alongside French competitor Albert Vallee in the Badwater Ultramarathon in 2007 – By Seaman Michael Lindsey, USN – http://www.defense.gov/news/newsarticle.aspx?id=46876, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17547068

Per quel che riguarda la terza e la quarta caratteristica fisiologica del cammello c’è però da dire che l’uomo, grazie al raziocinio, alla tecnica, all’attività manifatturiera e alla ben nota dote dell’indice opponibile qualche contromisura può prenderla. In questi casi si può anche imparare qualche utile trucco dal cammello.

La terza dote è infatti la gobba. Che, come sappiamo più o meno tutti, non contiene acqua ma una riserva di grasso. La gobba del dromedario è un importante magazzino di cibo e durante il lungo attraversamento del deserto può anche ridursi della metà o più, perché il dromedario la consuma per ottenere energia. Anche se non trova da ruminare delle erbe o delle piante spinose, insomma, nel deserto il dromedario se la cava soprattutto grazie alla gobba.

Nessun uomo ha in dotazione una gobba fatta di grasso che lo nutre. Ma colui che sa di potere essere rapinato per strada dovrebbe sempre portarsi appresso uno zainetto sulle spalle con qualche barretta energetica, la borraccia con l’acqua e un paio di tramezzini. Esattamente come se fosse la gobba del dromedario. Tra l’altro, anche lo zainetto, man mano che uno mangia, si riduce e si alleggerisce. Il funzionamento pratico insomma, al netto delle evidenti differenze esteriori, non è poi dissimile.

Inoltre sarebbe opportuno che l’uomo a cui hanno rubato il portafogli avesse molti capelli. Se è calvo come me, l’esposizione della pelle al sole risulta eccessiva. E dunque la sudorazione. E dunque la disidratazione. Uno calvo come me dovrebbe sempre indossare un cappellino quando va in giro per il centro storico in pieno luglio e mette in conto che potrebbero anche rubargli il portafogli. Meglio ancora se al cappellino è attaccata una visiera e, dietro, una striscia di tela bianca che gli copra il collo fino alle spalle, come uno dei due signori della foto di prima. Più si ripara dal sole, meno liquidi disperde e più riduce la disidratazione.

Ne sa qualcosa il cammello che, come quarta dotazione, naturale, fisiologica, ha tutte le parti direttamente esposte al sole o riparate dalla gobba o da un pelo piuttosto lungo. Lì dove invece il sole non batte il pelo è corto o addirittura assente.

E questo è tutto, più o meno, anche se qualcosa la dimentico di sicuro e non è detto che abbia riferito le cose correttamente. Non un sono un uomo di scienza, d’altra parte, e nemmeno un ultrarunner.

Ma comunque la metti, pur con tutte le precauzioni del caso, una cosa è certa: che se ti metti a correre contro un cammello in pieno deserto, anche se il cammello non è un animale particolarmente veloce e corre in modo sgraziato, alla lunga perdi di sicuro. E se non perdi rischi la vita, anche se sei uno che per lavoro caccia le antilopi nella savana e sei dunque molto allenato.

Ne sa qualcosa quel cavallo che, a quanto racconta Heinrich, un giorno ha corso contro un cammello in pieno deserto. Alla fine ha vinto per un soffio ma il giorno dopo è morto perché era sfinito, mentre il cammello aveva perso, seppure di poco, ma il giorno dopo stava benissimo. Anzi, il cammello ne sa qualcosa ma il cavallo non ne sa niente. Appunto, è morto.

Per avere notizie su Correre. Una storia naturale di Bernd Heinrich, vai qui: https://www.pianobedizioni.com/libri/correre-una-storia-naturale/

Per leggere altri articoli su Bernd Heinrich presenti in quest blog, vai qui: https://www.mariovalentini.net/category/due-o-tre-cose-che-bernd-heinrich-ci-insegna-sulla-corsa/

Fare come gli scarafaggi

Secondo Bernd Heinrich fa bene ai corridori umani osservare come corrono gli altri animali. C’è molto da imparare. Anche dagli scarafaggi. Lui, che è stato un campione di corsa su lunghissime distanze, è anche un naturalista tra i maggiori esperti di animali al mondo. Molti segreti per correre, dice, li ha imparati dagli animali.

Nel cap. XII del suo libro fondamentale sulla corsa dal titolo Correre. Una storia naturale (Piano B edizioni, 2022) Heinrich ci insegna che ci sono scarafaggi veloci e scarafaggi lenti.

Blatta fischiante del Madagascar

Lo scarafaggio sibilante del Madagascar per esempio è lentissimo. Non ha bisogno di scappare perché è molto ben corazzato e ha difese formidabili. Si sente indistruttibile e per questo se la prende comoda.

Lo scarafaggio americano è invece velocissimo. Raggiunge velocità equilvalenti a cinquanta volte la sua dimensione corporea al secondo. Che, facendo le dovute proporzioni, sarebbe quattro volte più veloce di un ghepardo, l’animale terrestre più veloce del mondo in termini di velocità assoluta. Com’è che fa? Corre solo su due zampe, come i bipedi, alzando tutte le altre zampe con l’aiuto delle ali.

Dice Heinrich che in America ogni anno fanno una gara di velocità tra scarafaggi che si chiama All-American Trot. Ogni scarafaggio ha un soprannome. Uno, che Hienrich riporta, è Sewer Sam, che tradotto in italiano sarebbe “Sam la Fogna”; un altro è Plain Disgusting, che forse in italiano si può tradurre con l’espressione “Davvero Disgustoso”. Prima di correre vengono contrassegnati con colori brillanti, così gli spettatori li possono riconoscere. Gli scarafaggi vengono tenuti al buio fino al momento della partenza. Allo start si illumina il campo di gara, allora gli scarafaggi scappano via velocissimi. Corrono alla ricerca di un nascondiglio buio, convinti che in questo modo metteranno in salvo la vita. Fanno così da sempre, dice Hienrich, più o meno da 500 milioni di anni.

Dunque questi scarafaggi per correre molto veloci diventano bipedi. Dice Heinrich che probabilmente all’origine della sua storia evolutiva anche l’uomo è diventato bipede proprio per correre più veloce e che anticamente tra i dinosauri probabilmente i più veloci erano quelli bipedi: il Gallimimus, il Compsognathus e il Velociraptor, e che oggi tra i più veloci discendenti bipedi dei disonauri c’è lo struzzo, che è capace di correre ad almeno settanta km orari su lunghe distanze.

Fondamentale nella corsa, per l’uomo, è il tendine di Achille, che si allunga quando il piede tocca terra. Poi il piede si inarca, si solleva sulle dita e allora il tendine di Achille, che è elastico, si contrae rilasciando tutta l’energia che ha appena immagazzinato atterrando.

Purtroppo l’elasticità di questo tendine, importantissimo per mettere a buon frutto il rimbalzo del piede nella corsa, diminuisce molto con l’età. Ecco perché il commesso del negozio in cui vado a comprare le scarpe da running mi dice sempre di stare attento, se ho male alla schiena, alle articolazioni e soprattutto al tendine di Achille. Mi dice sempre di smettere di correre, perché rischio di rovinarmi la salute. Comunque le scarpe, lo dice anche Heinrich, aiutano a effettuare bene il rimbalzo.

Dice Hienrich a pag. 171: “La massima velocità si raggiunge su piste che affondano di 5-8 millimetri (corrispondente più o meno all’elasticità dell’arco del piede). Le scarpe da corsa hanno più o meno lo stesso effetto, a condizione che siano compatibili con la superficie e che lo shock del passo non venga semplicemente assorbito e l’energia dissipata. Usare scarpe con buon rimbalzo in una pista altrettanto elastica non fa recuperare energia; al contrario, l’energia si annulla”.

E questo è solo per dire che il libro di Bernd Heinrich oltre che interessante è anche utile ai corridori, per esempio se devono comprare un paio di scarpe. Io finora le scarpe da running le avevo comprate, con attenzione certo, ma più per sentito dire che per vera convinzione. Per emulazione del mondo, per me distante, dei corridori di lunga data, si potrebbe dire. Non ci pensavo proprio al tendine di Achille, al rimbalzo. Certo l’avrei potuto anche capire da me, ma che ne sapevo che la maggior parte della spinta del piede, nell’atto di correre, viene quasi tutta da un solo dito: l’alluce. Questo Heinrich lo spiega bene. E ti dice anche che se per necessità di fuga repentina centinaia di migliaia di anni fa avessimo dovuto imparare a correre velocissimi avremmo dovuto sviluppare un piede con un unico dito molto solido e lungo, come i cavalli.

Quante cose insegna Heinrich su quella meravigliosa attività umana che è lo sport! Insegna per esempio che le scimmie hanno mantenuto le dita dei piedi prensili per essere più efficaci nell’arrampicata. Noi invece siamo scesi dagli alberi e ci siamo messi in testa questo fatto che bisognava assolutamente imparare a correre. Ed è così che la corsa, grazie all’elasticità del tendine di Achille, all’arco plantare e all’eccezionale spinta propulsiva del dito alluce, è diventata una prerogativa pienamente umana (nella quale invece le scimmie sono un po’ scarse). Sono più forti nell’arrampicata libera, le scimmie.

Ed è così che mi vien da pensare (questo infatti Heinrich non lo dice) che non a caso l’arrampicata libera è rientrata tra gli sport di massa molto più tardi della corsa e che è diventata disciplina olimpica solo a Tokyo 2020. La corsa invece no. Lo è stata da subito, sin dagli albori della prima olimpiade dell’evo moderno (Atene 1896). Ma lo era già nell’antica Grecia.

Nulla avviene a caso, dunque, nella storia dell’evoluzione come nella storia dello sport. Tutto nasce in tempi antichissimi e rimane nella nostra struttura corporea come traccia di una memoria ancestrale. Insomma nasce quando, abbandonati gli alberi, abbiamo iniziato a dedicarci allegramente, correndo a piedi, lance in mano, alla caccia al bisonte. Ed è per questo che ora io corro. Come Forrest Gump. Non faccio altro che andare a correre. Come ai tempi dei tempi, degli avi degli avi degli avi, in un continuo ritorno alle origini.

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