Il padre di Carol Rama aveva una fabbrica di biciclette e lei (se ho ben capito) quando l’azienda è fallita ha conservato una gran quantità di camere d’aria e copertoni che avrebbe usato, anni dopo, per diverse opere (penso a “Presagi di Birnam” del 1977). Questo già me la rende simpatica. Ma ovviamente c’è dell’altro: il tratto un po’ ineducato, emotivo, da autodidatta di talento, che la avvicina a Schiele e a certi autori outsider; il piglio irriducibile, istintivo, sempre laterale; un paziente operare in disparte; i temi della follia, del disagio, del sesso. E poi, certo, quel passaggio all’arte concreta, all’assemblaggio di oggetti d’uso.

E infine i lavori su cui in questi giorni sto ragionando, chiuso nella mia bottega grande quanto un portatile: le serie di “Appassionata” e di “Dorina” (censurate a Torino nel 1945) e “Annunciazione” del 1985.

[per nuovi vangeli apocrifi + nuovi maestri]