Le vacanze intelligenti è il terzo episodio, diretto e interpretato da Alberto Sordi, del film collettivo Dove vai in vacanza?, del 1978. Gli altri due episodi sono di Mauro Bolognini e Luciano Salce.
Racconta di una coppia di fruttaroli romani, interpretati da Sordi stesso e da Anna Longhi, che viene costretta dai propri figli, ormai vicini alla laurea e avviati a una carriera da professionisti, a fare una vacanza culturale in Italia. Lui si chiama Remo, lei Augusta. Uno dei figli, futuro medico, li mette anche a dieta. I due si ritrovano così a visitare la Biennale di Venezia del 1978, quella vera, con le vere opere esposte quell’anno. Augusta, corpulenta e appesantita, va inciampando su opere dislocate per terra. Stanchissimi, si appoggiano a un muro per riposare un po’ e vengono rimproverati da una maschera perché quello che in effetti sembra un semplice muro è invece un’opera d’arte. Si accodano a un professore che guida un gruppo di visitatori spiegando il senso delle opere. Augusta chiede a Remo: «Ma che dice quello?». E lui: «E che dice… spiega! Spiega le cose che noi non potemo capì». Di fronte a una serie di grandi imbuti ribaltati, Augusta chiede a Remo: «Ma che sò?». E Remo: «Sò imbuti, ni vedi?». Augusta: «Pure io li metto così quando spiccio ‘a cucina». E Remo: «Ma che cazzo c’entra ‘a cucina? È ‘na scultura, stamo alla Biennale, Augù!».
La visita va avanti. Arrivano in una sala dove c’è un recinto con delle pecore vive. I due pensano di essersi sbagliati, vogliono uscire. Dicono: «È ‘na stalla!». La massa dei visitatori che avanza li ricaccia dentro. Uno dice loro che non è una stalla ma si tratta di un’opera israeliana. Di fronte alla riproduzione fedelissima di una donna nuda, il professore spiega: «È quasi traumatizzante l’incontro con John DeAndrea. Si tratta come ben vedete di un calco in poliestere fatto su una autentica ragazza, la cui vivezza è accentuata dalla meticolosità, come questi veri capelli, questo vero tappeto. Un realismo che trapassa in un superiore, conturbante realismo». Remo si avvicina per guardarla meglio, Augusta gli dice: «Ma ’ndo vai? lasciala stà!». E Remo: «Augù, è mica vera!». E Augusta: «Vera o finta, è sempre ‘na zozzona!».
Due personaggi di Duane Hanson
A un certo punto la situazione si ribalta. Nello scambio di ruoli tra esseri viventi e statue, statue e esseri viventi, il tutto si incasina e succede che la coppia, anzi a dir la verità la sola Augusta, venga scambiata per una delle statue, diventando una scultura in tutto simile a quelle che in quegli anni realizzava Duane Hanson. Riceve da uno dei visitatori pure una quotazione.

Augusta e Remo entrano infatti in una sala dove c’è un’installazione con una sedia vuota sotto una palma mossa da un vento artificiale. Augusta è stanchissima e affamata, vorrebbe fermarsi a riposare. Remo le chiede: «Ma che te senti?». E lei: «Tutto. Ho sete, fame, me si so’ gonfiati i piedi». Remo: «Augù, ce sarà un posto qua dentro dove prendere un caffè». E Augusta: «Un maritozzo!». Remo: «Tutto quello che voi. Armeno ce mettemo a sède».
Senza capire che quella sedia fa parte di un’installazione, Remo invita Augusta a sedersi mentre lui va a recuperare qualcosa da mangiare e da bere. Lei si siede allungando le gambe e chiudendo gli occhi. Subito dopo entra un altro gruppo di visitatori. Si fermano a guardare l’installazione scambiando Augusta per una scultura iperrealista. C’è una coppia di raffinati borghesi che si considerano intenditori d’arte. La donna dà un titolo all’installazione con Augusta seduta: Sedia con corpo adagiato. L’uomo afferma che è un’opera originale e che lui per 18 milioni la comprerebbe. Altri visitatori fotografano l’opera. Quando arriva Remo, Augusta riapre gli occhi e dice: «E porca mignotta! Ma chi so’ questi? Me stanno a fotografà!». Remo si rivolge ai visitatori dicendo: «Questa è la mia signora, che state a fotografare?». E poi, verso Augusta: «Ma non glielo potevi di’ che non sei ‘na statua? ». E rivolgendosi di nuovo al pubblico: «Che è mica la donna nuda questa!».
Il gusto di Alberto Sordi per l’arte contemporanea
Tutti i commenti che ho intercettato sul film dicono, un po’ superficialmente, che il film è una presa in giro dell’arte contemporanea e della sua astruseria, ma a me non sembra così scontata e univoca questa lettura.
Il film, certo, prende di mira il mondo dell’arte, di cui stigmatizza tic e intellettualismo un po’ vacuo. Ma nemmeno i fruttaroli ci fanno una gran figura, incapaci come sono di comprendere l’ambiguità dei segni. Il film certifica comunque che tra il senso comune dei fruttaroli e le invenzioni degli artisti si è creato un vero e proprio corto circuito. Dunque gli artisti, in qualche modo, fanno anche centro, colpiscono il bersaglio.
Se Remo come personaggio è del tutto asciutto di arte contemporanea, e non ne comprende dinamiche e strategie, in quanto regista Sordi sembra quasi sintonizzarsi con i procedimenti compositivi degli artisti. Non crea soltanto delle fantastiche situazioni comiche, con accurate inquadrature riproduce immagini tipiche dell’arte visiva di quegli anni. In una di queste inquadrature ci sono due tele grandissime completamente bianche. Un uomo di spalle fissa immobile quel bianco a due passi dalla tela. Sembra proprio una installazione e quell’uomo sembra una scultura che fissa una tela bianca. Ma l’uomo improvvisamente si muove e va via. Sono allora Remo e Augusta ad avvicinarsi alla tela e a fissare immobili la grande superificie bianca senza capire cosa ci sia da guardare. Un’altra installazione allora prende forma sullo schermo cinematografico, leggermente diversa dalla precedente.
Per questo l’episodio di Sordi a me sembra quasi un vero e proprio omaggio, ammirato e sincero, a uno come Duane Hanson. Remo e Augusta sono proprio due sculture di Hanson vive, animate e in movimento. Aggirandosi spaesate tra le sale espositive, di cui non capiscono sottotesti, concetti e linguaggio, queste statue vive a loro volta mettono sottosopra e ribaltano la sala espositiva, cominciando a giocare, inconsapevoli, lo stesso gioco degli artisti. Molto meglio di quanto non facciano le pecore vive che belano.
Si sospetta che senza una Augusta o un Remo, incapaci di comprendere il gioco di spiazzamenti e ricodificazioni degli artisti, quelle opere rimarrebbero lettera morta. Sordi ci regala due perfetti incompetenti di arte contemporanea. Con accenti, tra l’altro, di grande tenerezza. Il film infatti tocca anche note sommesse, soprattutto quando racconta il rapporto tra i due fruttaroli e i loro figli.
Remo e Augusta allora, dicevamo, sono i due visitatori ideali. Scombinano e destabilizzano la normale codificazione degli spazi tanto bene quanto fanno gli artisti. L’effetto non è tanto la presa in giro degli uni o degli altri. L’effetto vero è la concreta, perfetta realizzazione degli intenti programmatici degli artisti in mostra alla Biennale. Che devono avere dunque, per fare centro, come ospiti delle sale, non un pubblico di gente perfettamente a proprio agio nel sistema dell’arte. Ma due inconsapevoli spettatori. Allora gli spazi e i codici deragliano veramente e il progetto degli artisti contemporanei trova piena realizzazione.
Ed è allora che Alberto Sordi, il regista, non l’interprete del personaggio Remo, ci appare come un perfetto intenditore.
Se queste considerazioni hanno un minimo di senso, quel che bisogna concludere è dunque che se c’è uno che davvero ha compreso come andavano considerate, lette, attraversate quelle opere e quegli spazi, questo è Alberto Sordi. Il quale mira certo alla satira. Ma, facendo in modo che Remo e Augusta si aggirino per le sale della Biennale, duplica e rilancia anche il lavoro degli artisti. Raddoppia insomma la posta sul piatto, portando in scena i visitatori perfetti affinché quelle opere agiscano nello spazio e in rapporto al pubblico al massimo della loro potenza.