Categoria: vecchi e nuovi vangeli

Ridere a Natale

Nel volume 1 di Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, prima di analizzare il passo in cui Dante incontra Farinata e Cavalcante nel canto decimo dell’Inferno, Auerbach dedica un capitolo al Mystère d’Adam.

Si tratta di una rappresentazione liturgica della fine del XII secolo, di area linguistica anglo-normanna, conservata in un unico manoscritto, che alterna a didascalie latine dialoghi in volgare francese. Faceva parte di un’ampia rappresentazione natalizia che, dopo il dialogo tra Adamo ed Eva analizzato da Auerbach, metteva in scena anche l’assassinio di Abele e infine la processione di profeti che annunciano la venuta di Cristo.

Auerbach analizza gli elementi di realismo rintracciabili nel testo mettendo in evidenza come, dopo averla vista parlare con il serpente, Adamo si rivolga a Eva “come potrebbe fare un contadino o un borghese francese, che tornando a casa vede qualche cosa che non gli va”. Prova quindi a dimostrare come un testo del genere riesca a coniugare lo stile illustre o sermo sublimis di tradizione classica con lo stile basso o sermo humilis, riuscendo a immettere “il fatto sublime” nella vita quotidiana dei “semplici” e della gente comune, affermando infine che “l’elemento quotidiano realistico è dunque essenziale nell’arte medievale-cristiana e specialmente nella rappresentazione drammatica cristiana […]”.

Tentazione di Adamo e Eva (Masolino, 1424-1425)

Nel Mystère d’Adam, dice Auerbach, gli elementi realistici sono ancora contenuti a un dialogo tra marito e moglie, tra moglie e seduttore, niente a che vedere con quel realismo farsesco, crudo e grossolano, che si ritroverà in testi più tardi. Probabilmente è proprio dal XII secolo che cominciano a prender piede i misteri farseschi, se la badessa e scrittrice Herrad von Landsberg già in quegli anni si lamenta di come le rappresentazioni liturgiche diventino sempre più rozze. Ma è nel XV secolo che tale processo raggiunerà il culmine per poi tramontare, sotto il fuoco incrociato di autorità ecclesiastiche, critiche degli umanisti e rigori delle chiese riformate.

Quindi Auerbach, in mezza pagina, ci regala un ampio campionario di scene e situazioni tratte dai Misteri tardo-medievali, con rivisitazioni comiche e riscritture realistiche dei passi del Nuovo Testamento, dalla Natività alla Passione. Riporto per intero il brano:

“Cominciamo con la nascita nella stalla di Betlemme, dove non si trovano soltanto il bue e l’asino ma qualche volta anche levatrici e comari (con i realtivi discorsi) e dove succedono ogni tanto dei fatti piccanti tra San Giuseppe e le serve. Anche l’annuncio fatto ai pastori, l’arrivo dei Re Magi, la strage degli innocenti vengono ampliati realisticamente; ancora più ardite e indecenti per il gusto posteriore sono le scene che si riferiscono alla Passione: i discorsi rozzi e talvolta buffoneschi dei soldati durante l’incoronazione di spine, la flagellazione, la via crucis, la crocifissione stessa (il sorteggiare le vesti, la scena di Longino, ecc.). Fra le scene che si riferiscono alla Resurrezione, è specialmente quella della visita delle tre Marie all’unugentarius per comperare gli unguenti per il corpo di Cristo, che si trasforma in una scena di mercato, e la gara di corsa degli apostoli verso la tomba (secondo Giov. 20: 3, 4) è uno spasso. La rappresentazione della Maddalena, nel più dolce peccare, è qualche volta particolareggiata ed esatta, e nella processione dei profeti si trovano pure alcune figure che offrono occasione per una scena grottesca (Balaam e l’asino). Questo elenco è molto incompleto; ci sono conversazioni tra operai che (ad esempio nella costruzione della Torre di Babele) parlano del loro lavoro e dei tempi cattivi, ci sono scene rumorose e grossolane all’osteria, ci sono scherzi e oscenità in abbondanza […]”.

[Sui vangeli comici, tra questi taccuni, vedi anche: qui https://www.mariovalentini.net/vangeli-nuovissimi-quodlibet/ e qui https://www.mariovalentini.net/ridere-a-pasqua/ ]

Pieter Bruegel the Elder – The Census at Bethlehem- 1566

Ridere a Pasqua

L’immagine qui su riproduce la statua di San Zeno, che si trova nella Basilica di San Zeno a Verona. Secondo alcuni essa presenta quella strana espressione ridanciana in riferimento a un’antica pratica rituale, quella del risus paschalis, attestata per la prima volta nel basso medioevo (852 d. C.) a Reims. Era diffusa soprattutto nella Germania meridionale ed è proseguita ininterrottamente per più di mille anni, fino al Novecento. Le ultime testimonianze che parlano di pratiche ridanciane legate ai riti pasquali risalgono al 1911.

Così Wikipedia riassume questa cosa di un antico ridere a Pasqua, durante le vere e proprie celebrazioni del rito, grazie a pantomime e storielle (anche oscene) fatte spesso dagli stessi sacerdoti:

“ll risus paschalis, nota nei paesi germanofoni con il nome di Osterlachen, è stata una ritualità del cristianesimo, praticata almeno dall’852 al 1911 e diffusa soprattutto in Baviera, secondo cui il sacerdote, nella Messa pasquale, era solito includere nell’omelia il racconto di curiosità e facezie, anche oscene, per suscitare l’ilarità nei fedeli ed esorcizzare la morte. La sua prima manifestazione attestata avvenne nell’852 a Reims. […] L’ultima testimonianza risale al 1911 quando la gazzetta di Francoforte racconta che era ancora in uso nelle chiese della Stiria, tra Austria e Slovenia”. [https://it.wikipedia.org/wiki/Risus_paschalis]

Del risus paschalis parlava anche Dario Fo, a introduzione del suo spettacolo Mistero Buffo, in questi termini:

“Fin dai primi secoli dopo Cristo, in occasione di particolari riti, specie legati alla Pasqua come nel Risus Pascalis, i fedeli si divertivano, sotto la direzione di giullari o preti particolarmente spiritosi, a mettere in scena spettacoli in forma ironico-grottesca, proprio perché per il popolo, il teatro, specie il teatro comico, è sempre stato il mezzo primo d’espressione, di comunicazione, ma anche di provocazione e di agitazione delle idee”. [Dario Fo, Mistero Buffo (a c. di Franca Rame), Guanda, 2018]

Più diffusamente parla delle pratiche dell risus paschalis Luigi Malerba in un capitoletto di Strategie del comico ad esso intitolato:

” Una radicata consuetudine medievale durata ancora, nonostante le censure, in epoca di Controriforma, era quella di segnare la fine della Quaresima con l’introduzione di una serie di provocazioni comiche che i parroci esercitavano dal pulpito sia per festeggiare la gioia dopo il lungo periodo di penitenza e digiuno, sia per ottenere una maggiore affluenza di fedeli. Nell’occasione i preti si trasformavano in buffoni con l’intento di produrre nei fedeli un moto di allegria, il così definito risus paschalis.

Il repetorio dei parroci era in gran parte improvvisato o ripreso dalla tradizione orale e perciò non tramandato ai posteri, per cui gli scarsi documenti che ci sono pervenuti sono soltanto quelli riportati come esemplificazione nei testi delle censure diffuse dalle autorità ecclesiastiche. Memorabile l’Epistola emanata nel marzo del 1444 dalla severa Facoltà di Teologia di Sorbona: ‘Quale cristiano di senno non condannerebbe quei sacerdoti che vedesse nell momento dell’Uffizio Divino mascherati, resi mostruosi nel volto o vestiti come donne o come lenoni o come attori, cantare litanie licenziose, mangiare salsicce sull’altare accanto a chi celebra la Messa, e lì stesso giocare a dadi…’.

Alle esibizioni blasfeme si accompagnava dal pulpito una ‘favoletta pasquale’, quasi sempre licenziosa se non apertamente oscena, improvvisata o preparata in anticipo allo scopo di suscitare il cosiddetto risus paschalis nei fedeli. Gli argomenti dipendevano dall’estro personale dei sacerdoti, i quali potevano pescare dal repertorio orale in circolazione i soggetti comici ritenuti più efficaci. Per esempio un racconto di sicuro effetto pare che fosse quello dei sotterfugi o dei veri e propri imbrogli escogitati da San Pietro per raggirare gli osti e procurare cibo per sé e per gli Apostoli, non avendo, come Gesù, la facoltà di moltiplicare i pani e i pesci”. [Luigi Malerba, Strategie del comico, Quodlibet, 2018]

Per Mistero Buffo di Dario Fo: https://www.guanda.it/libri/dario-fo-mistero-buffo-9788823520202/

Per Strategie del comico di Malerba: https://www.quodlibet.it/libro/9788822901606

Che cos’è precisamente un vangelo

Metto anche qui, tra i miei appunti, un articolo scritto per Morel – Voci dall’Isola, pubblicato il 27 Dicembre: è una specie di backstage dei Vangeli nuovissimi, racconta le letture che hanno accompagnato la stesura del libro e, in sintesi, quel che ho imparato sui vangeli, quelli antichi.

Con la parola vangelo si intende comunemente un ben preciso testo della tradizione cristiana. Ed è opinione diffusa che questo testo sia di tipo narrativo e che narri la storia di Gesù più o meno dalla nascita e più o meno fino alla morte. Anzi, poco oltre: fino alla resurrezione dal sepolcro e all’apparizione in forma di spirito ad alcuni dei suoi discepoli.
Quel che ho imparato è che nessuno oggi nega che Gesù di Nazaret, come figura storica, sia effettivamente esistito. Chi si è avvicinato a questa figura con un approccio storico-critico ha fatto molte ipotesi su chi egli veramente fosse e su cosa effettivamente abbia detto o pensato, arrivando a supporre cose molto diverse da quelle che i suoi discepoli o fedeli per secoli e secoli hanno predicato.

Il cattolicesimo, e in generale il cristianesimo, riconosce come autentici, e dunque corrispondenti alla vera natura di Gesù, che per i cristiani è appunto il Cristo e Messia, quattro vangeli che vengono detti canonici. Nel Nuovo Testamento vengono presentati in quest’ordine: vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni.

Nell’approccio precritico, totalmente incastonato nella fede religiosa, si credeva che questi vangeli fossero resoconti autentici della vita di Gesù e non si ipotizzava nemmeno che ci potesse essere un qualche tipo di scarto tra il Gesù realmente esistito (il Gesù storico) e quello che i vangeli raccontano della vita di Gesù. Certo, le differenze tra vangelo e vangelo erano percepite. Soprattutto, era evidente che il quarto, quello di Giovanni, era piuttosto diverso dai primi tre. Così com’era evidente che, tra i primi tre, ce n’era uno (quello di Marco) che era molto più breve. E questo aveva indotto fin dall’antichità a considerare il vangelo di Marco come una sorta di riassunto degli altri due, scritto anche in modo un po’ rozzo rispetto allo stile più raffinato di Matteo e Luca, che venivano tenuti in maggiore considerazione. Matteo veniva considerato il più antico e autorevole tra i vangeli e si credeva che il suo autore fosse il Matteo apostolo di Gesù, pubblicano e dunque ex esattore delle tasse (figura odiosa per gli ebrei del tempo perché in combutta con gli occupanti romani nell’opprimere la popolazione).
Luca era invece il più usato nelle predicazioni, il più amato e citato, perché pieno di parabole e insegnamenti, e perché raccontava una più ampia e sviluppata parte sull’infanzia di Gesù, piena di suggestioni e di possibilità di far nascere mitologie. Luca e Marco, inoltre, venivano identificati in due discepoli, rispettivamente, di Paolo e di Pietro. L’ultimo dei vangeli, invece, si credeva che fosse stato scritto da un altro degli apostoli di Gesù, Giovanni appunto, in tarda o tardissima età.
Quel che ho imparato è che la critica storica e gli studi filologici hanno ampiamente ribaltato questa visione e che probabilmente nemmeno all’interno della Chiesa esiste più qualcuno che dia credito alla visione tradizionale propria dell’approccio precritico.

(continua a leggere l’intero articolo su https://www.vocidallisola.it/2021/12/27/che-cose-precisamente-un-vangelo/)

Camere d’aria

Il padre di Carol Rama aveva una fabbrica di biciclette e lei (se ho ben capito) quando l’azienda è fallita ha conservato una gran quantità di camere d’aria e copertoni che avrebbe usato, anni dopo, per diverse opere (penso a “Presagi di Birnam” del 1977). Questo già me la rende simpatica. Ma ovviamente c’è dell’altro: il tratto un po’ ineducato, emotivo, da autodidatta di talento, che la avvicina a Schiele e a certi autori outsider; il piglio irriducibile, istintivo, sempre laterale; un paziente operare in disparte; i temi della follia, del disagio, del sesso. E poi, certo, quel passaggio all’arte concreta, all’assemblaggio di oggetti d’uso.

E infine i lavori su cui in questi giorni sto ragionando, chiuso nella mia bottega grande quanto un portatile: le serie di “Appassionata” e di “Dorina” (censurate a Torino nel 1945) e “Annunciazione” del 1985.

[per nuovi vangeli apocrifi + nuovi maestri]